di
Salvatore Perri
La profonda crisi economica odierna
viene combattuta con armi spuntate dal governo Monti e con scarsissima
lungimiranza dalle istituzioni europee. Le alternative al disastro non si
limitano, tuttavia, a proposte estemporanee di uscita dal sistema solare o di
ritorno all’età della pietra. Esistono strumenti per la politica economica che
sono in grado di ripristinare un sistema economico con un maggior livello di
equità senza passare per l’abbandono degli attuali livelli di benessere
collettivo. Uno di questi, largamente studiato ed applicato all’estero, è il “Basic
Income” (letteralmente reddito di base o tradotto in italiano come Reddito d’Esistenza).
Il Basic Income, a cui farò riferimento,
è una somma monetaria assegnata dalla fiscalità generale o in modo universalistico o ad un gruppo di
individui che rientrino in determinate categorie, ad esempio reddituali.
Dal mio punto di vista il modo più
efficiente per discutere brevemente questo strumento è quello di rispondere alle
più comuni obiezioni errate che emergono nel dibattito, successivamente
elencherò alcuni dei possibili benefici per il “sistema Italia”, rinviando per
una trattazione sistematica ed analitica del tema agli scritti di Andrea
Fumagalli.
1. L’attribuzione di una somma di denaro ad una tale
platea di individui è impossibile dati i vincoli di bilancio. Falso, secondo
alcune stime, portare il reddito delle persone residenti in Italia al di sopra
della soglia di povertà costerebbe all’anno 11 Mld di Euro, circa 1/3 delle
manovre estive di Tremontiana memoria. In politica economica c’è sempre una
scelta, si tratta solo di investire in modo diverso soldi che vengono spesi
comunque.
2.
Pagare i
disoccupati li disincentiva a cercare lavoro. L’obiezione è corretta ed anche
anglosassone, ma applicata all’Italia è priva di senso. I disoccupati italiani
sono in larga parte giovani (nel sud) donne e di lunga durata (anche quando non
lavorano nel settore sommerso). Attribuire un reddito, ad esempio di 600 euro
mensili, non disincentiverebbe il disoccupato a lavorare per raggiungere soglie
più alte, disincentiverebbe esclusivamente lo sfruttamento del lavoro, l’abuso
di contratti precari, le simulazioni contrattuali. Il lavoratore avrebbe un’altra
scelta, mentre alle imprese irregolari verrebbe a mancare lo strumento con il
quale fare concorrenza sleale a quelle regolari.
3.
Una tale forma
di retribuzione è improduttiva, le stesse somme potrebbero essere utilizzate
per incentivare le imprese a creare lavoro vero. Per rispondere
a questa obiezione bisogna discutere che cosa è produttivo e cosa non lo è,
nell’esperienza italiana in particolare. Nella definizione di Fumagalli il
Basic Income è una retribuzione per tre tipi di attività che gli individui già
fanno, ma che non possono scambiare. La cura (di se stessi e degli altri non
autosufficienti), il consumo e tutte quelle tipologie di lavoro intellettuale,
artistico ed immateriale, che non determinano un ritorno economico (studenti,
studiosi ed artisti tra gli altri). Il consumo è produttivo in modo indiretto,
in quanto fornisce la giustificazione a produrre un determinato quantitativo di
merci che altrimenti non verrebbe prodotto, non stiamo parlando di beni di
lusso ma di “consumo autonomo” necessario per vivere nell’accezione Keynesiana.
Senza la domanda l’offerta è priva di senso e cessa di essere, generando nuova
disoccupazione. Il Basic Income frena questa dinamica molto più dell’incentivo
alle imprese. Quando i mercati sono saturi e non ci sono prospettive di
profitto le imprese non investono, forzarle a farlo non ha senso. L’Italia, ed il
sud in particolare, ha sperimentato flussi di incentivazione all’impresa
probabilmente senza eguali nella storia del mondo moderno, i risultati sono
sotto gli occhi di tutti, ed in particolare della magistratura, sarebbe ora di
cambiare approccio.
4.
Il Basic Income
è incompatibile con il libero mercato. In un qualsiasi manuale di Economia, sin
dagli albori dell’Economia Politica, nell’analisi dell’equilibrio di scambio,
si sottolinea che l’equilibrio efficiente a volte può non essere equo. Per
rendere equo l’equilibrio di mercato si può agire sulla dotazione dei fattori,
appunto sul reddito di base degli individui, che è quello di cui stiamo
parlando.
5.
Un tale esborso
monetario farebbe aumentare il debito pubblico. Probabilmente
lo farebbe diminuire. Una spesa pubblica finanziata con imposte (già versate)
ha un effetto comunque positivo sul reddito. Questo tipo di aumento di spesa si
concretizzerebbe in un aumento dei consumi (perché gli individui con un reddito
basso consumano in proporzione di più di quelli con un reddito alto). L’aumento
dei consumi fa aumentare le entrate fiscali. Il reddito complessivo finale sarà
più alto, cosa che aiuta la sostenibilità del debito. Attualmente la caduta dei
consumi, e del reddito, rende necessarie manovre sanguinose sul piano dei tagli
che si rivelano inutili perché la caduta dei consumi fa diminuire le entrate e
vanifica i risparmi di spesa. La ripresa dei consumi interromperebbe questo
circolo vizioso.
Come già detto, ed entrando nell’elenco
dei possibili benefici, una tale politica garantirebbe una base di consumo e
quindi di produzione, indipendente dalle variabili finanziarie e dallo spread,
in quanto composta da esclusivamente da domanda interna.
Il peso della clientela, come forma di
esercizio del potere politico-massonico-mafioso, sarebbe notevolmente
ridimensionato, si passerebbe dal sistema di oggi basato sui privilegi ad un
sistema basato sui diritti.
Il Basic Income sarebbe un potente
disincentivo alla criminalità, in quanto il diritto a riceverlo potrebbe essere
legato alla condotta, cioè esso potrebbe essere revocato come pena accessoria a
causa di condanne penali.
Sarebbe garantito realmente il diritto
allo studio universitario anche agli studenti svantaggiati, i quali potrebbero
anche proseguire gli studi post-laurea, ipotesi oggi ascrivibile alla
fantascienza, aiutando concretamente la competitività del sistema paese dato l’attuale
livello medio di istruzione.
A medio termine le spese sanitarie
dovrebbero ridursi, in quanto una maggiore cura personale garantita dal Basic
Income, ridurrebbe i fattori di rischio per le fasce meno abbienti della
popolazione che altrimenti si scaricherebbero sul servizio sanitario nazionale.
Si ridurrebbe l’emigrazione forzata e
con essa il degrado demografico relativo allo spopolamento dei piccoli centri
con benefici per la coesione sociale.
In conclusione, una tale forma di
intervento caratterizzerebbe un paese come “avanzato” in termini di civiltà,
non a caso ne la Grecia ne l’Italia hanno forme di sostegno al reddito di
questo tipo. La Germania ce l’ha, probabilmente hanno fatto i conti meglio di
noi.