venerdì 4 dicembre 2015

Produttività a Sud: intervista a Salvatore Perri. Corriere del Mezzogiorno Economia 9 Novembre 2015

Esistono divari di produttività tra Centro Nord e Sud? In che percentuale e in quali settori economici? Secondo Svimez, nell'industria e in agricoltura. E’ d’accordo?
“Che esista un divario di produttività fra aziende del Nord e del Sud è innegabile, ma attribuirne le cause a un fattore specifico e quantificarlo è molto difficile - spiega Salvatore Perri, giovane economista calabrese che ha studiato il tema. PhD in Economia Applicata ed MSc in Economics all’Università inglese di Southampton, autore del blog “Impunito”, esperto di analisi delle politiche e teorie macroeconomiche, collabora con vari centri di ricerca, in Italia e all’estero, tra cui Basic Income Network e Idea - Nel Sud è prevalente la piccola impresa che raramente fa rete con le altre, questo secondo l’Istat spiega i divari di produttività. Se poi consideriamo che la dotazione di infrastrutture è costantemente inferiore a quella settentrionale da 30 anni si capisce che può essere fuorviante confrontare la produttività aziendale. Ci sono settori in cui la crisi colpisce in maniera differenziata perché più esposti alla domanda esterna, per questo l’industria al Sud e l’agricoltura pagano un prezzo più alto”.
 Quanto incide nel Mezzogiorno il lavoro nero e l'economia sommersa sui divari di produttività e sul costo del lavoro differenziato per aree?
“La presenza del sommerso agisce negativamente sull’intero apparato produttivo sia dal lato delle imprese che dei lavoratori. Le aziende regolari subiscono la concorrenza sleale di quelle sommerse, per farlo abbassano i salari. I bassi salari, insieme alla difficoltà di effettuare investimenti, peggiorano la qualità del lavoro nel Sud. E’ un circolo vizioso che estende i suoi effetti anche ai consumi, perché bassi salari accompagnano un basso livello di domanda aggregata”.
Il tema dei divari di produttività può essere affrontato agendo sul costo del lavoro ma anche intervenendo sulle imposte. Al Sud addizionali e Irap sono più elevate. Non servirebbe una Fiscalità di vantaggio per attrarre investimenti esterni nel Sud?
“Perché gli investimenti esteri arrivino è necessario agire sulle infrastrutture, sulla cornice giuridica e sul contesto socioeconomico. La lentezza dei processi civili scoraggia le imprese estere più di un punto di Irap. Fare concorrenza su questo terreno non ha senso, perché i costi sarebbero comunque superiori a quelli dei paesi dell’Est Europa o di quelli asiatici. Bisogna fornire servizi di supporto, certezza del diritto, fruibilità infrastrutturale, allora arriveranno investimenti esteri e non solo”.
 Le politiche di contesto, soprattutto il costo del denaro, quanto incidono sui livelli di produttività?
“La burocrazia pubblica è vista come nemica dell’impresa, non dovrebbe esserlo, bisogna attuare riforme che la rendano un attore attivo nel sostegno alle imprese, costante e non legato al controllo sanzionatorio. Il Sud non ha più da tempo un sistema bancario autonomo, le aziende pagano tassi d’interesse alti, dovuti ai crediti in sofferenza. Bisogna mettere in comunicazione la burocrazia, con le organizzazioni di categoria ed i sindacati, creare così una forma di supporto e monitoraggio che aiuti il sistema bancario a dividere i buoni dai cattivi e sostenere la crescita delle aziende sane che è il vero problema specifico del Mezzogiorno”.
Il costo del lavoro nel Sud si può abbassare con sgravi contributivi maggiori rispetto al resto del Paese. Se nel corso del dibattito parlamentare si cambiasse la legge di Stabilità per lasciarli interi solo al Sud come nel 2015?
“Sono contrario agli sgravi contributivi in generale, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Si possono creare buchi di bilancio e si eliminano quei contributi che sarebbero più pesanti al momento del pensionamento. Allungare i tempi degli sgravi vuol dire rimandare il momento in cui l’azienda deciderà se è il caso di tenere il nuovo lavoratore a costo pieno o se mandarlo via, ma questa decisione dipende dalle condizioni economiche dell’azienda, non dalla volontà dell’imprenditore. Se l’Italia torna a crescere allora le imprese faranno profitti e possono tenere i neo assunti, altrimenti ci ritroveremo nella stessa situazione di prima, Nord o Sud non fa differenza in questo caso. Sarebbe molto meglio agire per ridurre strutturalmente il cuneo fiscale, ma credo ci siano problemi di risorse per poterlo fare”.

EMA.IMPE.
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