Esistono
divari di produttività tra Centro Nord e Sud? In che percentuale e in quali
settori economici? Secondo Svimez, nell'industria e in agricoltura. E’
d’accordo?
“Che
esista un divario di produttività fra aziende del Nord e del Sud è innegabile,
ma attribuirne le cause a un fattore specifico e quantificarlo è molto
difficile - spiega Salvatore Perri, giovane economista calabrese che ha
studiato il tema. PhD in Economia Applicata ed MSc in Economics all’Università
inglese di Southampton, autore del blog “Impunito”, esperto di analisi delle
politiche e teorie macroeconomiche, collabora con vari centri di ricerca, in
Italia e all’estero, tra cui Basic Income Network e Idea - Nel Sud è
prevalente la piccola impresa che raramente fa rete con le altre, questo
secondo l’Istat spiega i divari di produttività. Se poi consideriamo che la
dotazione di infrastrutture è costantemente inferiore a quella settentrionale
da 30 anni si capisce che può essere fuorviante confrontare la produttività
aziendale. Ci sono settori in cui la crisi colpisce in maniera differenziata
perché più esposti alla domanda esterna, per questo l’industria al Sud e
l’agricoltura pagano un prezzo più alto”.
Quanto incide nel Mezzogiorno il lavoro
nero e l'economia sommersa sui divari di produttività e sul costo del lavoro
differenziato per aree?
“La
presenza del sommerso agisce negativamente sull’intero apparato produttivo sia
dal lato delle imprese che dei lavoratori. Le aziende regolari subiscono la
concorrenza sleale di quelle sommerse, per farlo abbassano i salari. I bassi
salari, insieme alla difficoltà di effettuare investimenti, peggiorano la
qualità del lavoro nel Sud. E’ un circolo vizioso che estende i suoi effetti
anche ai consumi, perché bassi salari accompagnano un basso livello di domanda
aggregata”.
Il
tema dei divari di produttività può essere affrontato agendo sul costo del
lavoro ma anche intervenendo sulle imposte. Al Sud addizionali e Irap sono più
elevate. Non servirebbe una Fiscalità di vantaggio per attrarre investimenti esterni
nel Sud?
“Perché
gli investimenti esteri arrivino è necessario agire sulle infrastrutture, sulla
cornice giuridica e sul contesto socioeconomico. La lentezza dei processi
civili scoraggia le imprese estere più di un punto di Irap. Fare concorrenza su
questo terreno non ha senso, perché i costi sarebbero comunque superiori a
quelli dei paesi dell’Est Europa o di quelli asiatici. Bisogna fornire servizi
di supporto, certezza del diritto, fruibilità infrastrutturale, allora
arriveranno investimenti esteri e non solo”.
Le politiche di contesto, soprattutto il costo
del denaro, quanto incidono sui livelli di produttività?
“La
burocrazia pubblica è vista come nemica dell’impresa, non dovrebbe esserlo,
bisogna attuare riforme che la rendano un attore attivo nel sostegno alle
imprese, costante e non legato al controllo sanzionatorio. Il Sud non ha più da
tempo un sistema bancario autonomo, le aziende pagano tassi d’interesse alti,
dovuti ai crediti in sofferenza. Bisogna mettere in comunicazione la burocrazia,
con le organizzazioni di categoria ed i sindacati, creare così una forma di
supporto e monitoraggio che aiuti il sistema bancario a dividere i buoni dai
cattivi e sostenere la crescita delle aziende sane che è il vero
problema specifico del Mezzogiorno”.
Il costo del lavoro nel Sud si può abbassare con sgravi contributivi maggiori rispetto al resto del Paese. Se nel corso del dibattito parlamentare si cambiasse la legge di Stabilità per lasciarli interi solo al Sud come nel 2015?
Il costo del lavoro nel Sud si può abbassare con sgravi contributivi maggiori rispetto al resto del Paese. Se nel corso del dibattito parlamentare si cambiasse la legge di Stabilità per lasciarli interi solo al Sud come nel 2015?
“Sono
contrario agli sgravi contributivi in generale, soprattutto per quanto riguarda
i giovani. Si possono creare buchi di bilancio e si eliminano quei contributi
che sarebbero più pesanti al momento del pensionamento. Allungare i tempi degli
sgravi vuol dire rimandare il momento in cui l’azienda deciderà se è il caso di
tenere il nuovo lavoratore a costo pieno o se mandarlo via, ma questa decisione
dipende dalle condizioni economiche dell’azienda, non dalla volontà
dell’imprenditore. Se l’Italia torna a crescere allora le imprese faranno
profitti e possono tenere i neo assunti, altrimenti ci ritroveremo nella stessa
situazione di prima, Nord o Sud non fa differenza in questo caso. Sarebbe molto
meglio agire per ridurre strutturalmente il cuneo fiscale, ma credo ci siano
problemi di risorse per poterlo fare”.
EMA.IMPE.
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