Il mio intervento del 7
gennaio 2021, per il terzo ciclo di conferenze in diretta facebook a
partire dal Manifesto "La storia cambi passo" sul tema " La storia e
l'informazione economica oggi".
https://www.youtube.com/watch?v=AYjqeiQe2tE&t=1173s
venerdì 8 gennaio 2021
Intervento sul tema "La storia e l'informazione economica oggi" 7 Gennaio 2021
martedì 15 settembre 2020
Un’economia vulnerabile: i risultati economici della prima presidenza Trump
John Komlos, Salvatore Perri -
JEL: A10, E02, E39, G10, H10
La crisi economica legata al Covid-19, come tutti gli eventi negativi di carattere globale, tende ad essere classificata come imprevedibile e sganciata da ogni possibilità di prevenzione. In realtà, anche se l’evento è di per sé impronosticabile, le condizioni dei sistemi economici in termini di vulnerabilità agli shocks dovrebbero essere maggiormente tenuti in considerazione nei periodi così detti “normali”. Nel 21esimo secolo, eventi economici di portata catastrofica come la “bolla informatica”, l’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008, si sono verificati in media ogni 5 anni se consideriamo anche le gravi crisi internazionali a carattere regionale. Pertanto, l’obiettivo di rendere le società moderne più “robuste” in termini di fondamentali economici, e meno vulnerabili agli shocks (Taleb 2009), dovrebbe essere comunque prioritario anche rispetto ai risultati economici di breve termine. La domanda da porsi, per valutare correttamente l’operato dell’amministrazione Trump, è se la sua politica economica prima della crisi pandemica abbia reso l’economia statunitense più forte strutturalmente oppure no.
Donald Trump ha affermato pubblicamente più volte che la sua amministrazione ha raggiunto risultati economici eccezionali, mai ottenuti prima, e tali risultati sarebbero ascrivibili ai provvedimenti di politica economica intrapresi da quando è stato eletto.
Questa opinione, rilanciata anche da altre autorevoli fonti[1], ha fatto breccia nell’opinione pubblica, nazionale ed internazionale, tanto da essere ripresa anche in Italia per corroborare alcune proposte di politica economica allo stato prive di evidenze empiriche favorevoli[2]. Al netto della propaganda elettorale, i dati raccontano un’altra realtà, molto più problematica, che getta pesanti ombre sul futuro economico degli Stati Uniti.
Occupazione, salari e redditi
Il Bureau of Labour Statistics (2020) ha recentemente diffuso un’analisi sul tasso di creazione di posti di lavoro negli ultimi 3 anni dell’amministrazione Obama e nei primi 3 di quella guidata da Donald Trump. Il tasso medio mensile di creazione di posti di lavoro è stato di 224.000 unità negli ultimi 3 anni di Obama e di 182.00 nei primi 3 di Trump, il tutto con tassi di crescita economica simili[3]. Pertanto, lungi dall’essere risultati eccezionali, appaiono conseguenza della crescita iniziata durante il periodo precedente con addirittura un rallentamento della crescita occupazionale, mentre tutti gli altri indicatori del mercato del lavoro hanno un andamento coerente con la dinamica intrapresa nei periodi precedenti.
Sottolineiamo che la disoccupazione ufficiale è al 3,5% ma solo a causa delle metodologie di calcolo. Il tasso di disoccupazione reale dovrebbe considerare come disoccupato almeno un terzo di coloro che lavorano part-time, involontariamente, e anche coloro che sono disoccupati “disponibili” a lavorare indipendentemente da quanto tempo abbiano smesso di cercare lavoro[4]. Se considerassero come disoccupate queste tipologie di persone il tasso di disoccupazione reale stimato nel 2019 sarebbe in realtà del 7,8%, molto lontano dalla piena occupazione (Komlos, 2019a, p. 190). Inoltre, molti dei posti di lavoro creati non forniscono sicurezza e stabilità di reddito ma sono perlopiù lavori precari privi di assicurazione sanitaria e di indennità di disoccupazione (Friedman, 2014; Standing, 2014). In numero dei lavoratori che hanno “abitualmente” solo un’occupazione part time è in costante aumento dagli anni ’70 e durante la presidenza Trump è rimasto stabile ai suoi livelli massimi di sempre[5].
Inoltre, 4,6 milioni di lavoratori part-time non riescono a trovare un lavoro a tempo pieno, non sono stati considerati disoccupati nonostante guadagnino 283 dollari a settimana, solo 14 dollari in più di quanto guadagnavano nel luglio 2002 (ai prezzi del 2019, serie Fed LEU0262881800Q).
Sebbene si possa dire che i salari siano mediamente aumentati, si deve sottolineare che il reddito medio dei lavoratori a tempo pieno è ancora al di sotto del livello del 1979 (serie Fed LES1252881900Q). E per coloro che sono privi di un’istruzione universitaria i salari sono ancora al di sotto in termini reali rispetto ai livelli raggiunti alla fine degli anni ’70.
È anche vero che i redditi medi sono aumentati, ma l’aumento è apparente più che concreto se si considerano i fattori distributivi e quelli legati ai panieri di consumo. Il reddito familiare medio è aumentato solo di 100 dollari all’anno dal 2000 (Fed, serie MEHOINUSA672N) e in molti stati del c.d. Rustbelt, la zona maggiormente colpita dalla deindustrializzazione (Komlos e Perri 2019c), è ancora al di sotto del livello del 2000. La situazione è ancora peggiore se si considerano gli aggiustamenti statistici dell’indice dei prezzi. L’indice COTI[6], che rappresenta l’equivalente dell’indice dei prezzi al consumo, evidenzia una crescita superiore al tasso di crescita dei redditi. Di fatto la classe media sta continuando ad impoverirsi rapidamente perché l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo colpisce in misura proporzionalmente maggiore i redditi medio-bassi (Cass 2020).
Politiche fiscali, disuguaglianze e debito
Il caposaldo della politica fiscale Trumpiana è, nel solco della tradizione Reaganiana, il taglio delle tasse ai segmenti ad alto reddito della popolazione[7]. La ratio è sempre la stessa, il taglio delle tasse ai ricchi produrrebbe diversi effetti benefici per l’economia tra cui il rilancio degli investimenti privati dal lato dell’offerta ed il conseguente aumento dell’occupazione dal lato della domanda. Ma come è stato evidenziato sin da subito da centri studi indipendenti, se gli effetti sulla crescita sono incerti, sicuramente una siffatta strategia agisce ampliando le disuguaglianze in termini di distribuzione del reddito (Tax Policy Center, 2017). Nel 2019, a distanza di due anni dei tagli, la crescita economica è stata del 2,9%, come nel 2015, ma il peso delle tasse si è spostato ulteriormente sulla classe media.
Le famiglie statunitensi appartenenti all’1% più ricco hanno accumulato complessivamente risparmi delle tasse pari a 35 milioni di dollari mentre il 40% degli adulti non ha a disposizione riserve emergenziali di 400 dollari per far fronte ad una spesa imprevista (Board of Governors, 2018, p. 21).
Il livello di disuguaglianza è stato palesemente aggravato dai tagli fiscali del 2017[8] ed è peggiorata anche la percezione della disuguaglianza stessa, in quanto ad ampliarsi non sono solo i divari in termini di reddito reale ma anche quelli in termini di ricchezza. L’aumento delle disuguaglianze può generare crisi sociali dall’impatto economico distruttivo (Greenspan, 2007b, pp. 365, 408).
Se la crescita economica è rimasta invariata rispetto al periodo di Obama anche il debito pubblico ha continuato a correre, all’inizio del 2020, prima della pandemia aveva raggiunto 23,2 trilioni di dollari (Serie Fed, GFDEBTN, GFDEGDQ188S). Ma il contributo netto delle politiche Trumpiane si può osservare in termini di rapporto deficit/Pil che, proprio a seguito dei tagli fiscali del 2017, ha ricominciato a crescere passando dal 102,78% del quarto trimestre del 2017 al 106,68 del quarto trimestre del 2019[9]. All’aumento del debito contribuisce in maniera decisiva l’aumento del Deficit Federale che è cresciuto costantemente durante l’intera presidenza Trump, in questo caso in controtendenza rispetto agli ultimi anni di Obama nei quali si stava riducendo[10] (Federal Reserve Bank of St. Louis 2020). In sostanza si è confermata la tendenza che vede crescere il debito a seguito di tagli delle tasse[11], da Reagan in poi, considerando che il debito federale era il 31% del PIL nel 1981 (Komlos e Perri 2019b).
Non vanno meglio le cose per quanto riguarda il settore privato in quanto sono in aumento le persone che non riescono a risparmiare (Board of Governors 2018), e dalla grande crisi finanziaria del 2008 sappiamo che l’impossibilità di ripagare i debiti è un ulteriore elemento di fragilità sistemica per un’economia, perché può generare un effetto domino in grado di trasmettere la crisi finanziaria al settore reale.
Politica monetaria e mercati azionari
A seguito della crisi finanziaria del 2008 l’intervento della FED è diventato sempre più incisivo. L’espansione del bilancio della banca centrale statunitense, per quanto imponente, appare in linea quello delle altre grandi banche centrali delle economie mature. L’arrivo di una nuova crisi ha reso necessario confermare gli interventi precedenti e proporne di nuovi, analogamente a quello che succede in Europa. Tra l’11 marzo e il 15 aprile 2020 la Fed ha acquistato attività finanziarie per il valore, senza precedenti, di 2 trilioni di dollari. La dichiarazione di Jerome Powell[12] sull’inflazione è solo l’ultimo segnale di un cambiamento epocale delle politiche monetaria, che difficilmente potrà essere revocato in futuro.
Anche i record dei mercati azionari sono stati portati da Trump come il risultato della sua strategia, ma molti analisti hanno parlato di “un’esuberanza irrazionale” (Shiller 2020). L’elevata volatilità degli indici rispetto ai fondamentali non è necessariamente un fenomeno positivo, in particolare se le valutazioni borsistiche deviano dai fondamentali, evidenziando uno sganciamento dai fattori reali dell’economia[13]. La letteratura scientifica ha ipotizzato degli indicatori in grado di misurare l’instabilità finanziaria[14], prendono in considerazione la volatilità degli indici di borsa e l’espansione del credito bancario[15] (Ferguson 2002, Borio e Lowe 2002), entrambi questi indicatori stanno toccando livelli record in questa fase[16].
Conclusioni
Le crisi non sono affatto eventi estemporanei e imprevedibili, ma sono eventi che devono essere considerati nell’implementazione delle strategie di politica economica a lungo termine. Una crisi può avere natura esterna, come quella odierna di carattere globale, oppure può avere origine interna ad uno stato e tramettersi agli altri. In entrambi i casi bisogna ridurre la vulnerabilità dei sistemi economici per ridurne gli impatti potenziali. Donald Trump ha presentato i propri risultati economici come straordinari, evidenziando la riduzione della disoccupazione, la crescita economica e i record macinati in serie dalla borsa. In realtà i dati evidenziano altro, l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali rappresentano un fattore di instabilità dalle conseguenze imprevedibili, i tagli delle tasse vengono di fatto trasferiti sul debito pubblico e l’intero processo di creazione di reddito appare sempre più dipendente dalla politica monetaria. I record della borsa nel periodo peggiore della pandemia non sono un segnale positivo, ma rappresentano la fuga degli investitori verso profitti a breve termine, sganciati dall’economia reale. Le diatribe commerciali intraprese da Trump con gran parte dei partner commerciali possono essere essi stessi fattori in grado, da soli, di scatenare una nuova crisi globale.
Se l’obiettivo di Donald Trump era quello di ottenere una crescita economica superiore al 2% annuo, che il dato che storicamente garantisce la riconferma dei presidenti, possiamo dire che è stato raggiunto. Ma se guardiamo alla robustezza del sistema economico statunitense ed alla sua capacità di resistere in modo coeso ad eventuali shocks, si può affermare che non sarà la prima presidenza Trump ad essere ricordata per questo. L’opinione condivisa è che un deficit endemico di 1 trilione sia insostenibile (Rogoff 2019), il deficit del 2020 supererà i 4 trilioni.
Riferimenti Bibliografici
Board of Governors of the Federal Reserve System. 2019. “Report on the Economic Well-Being of U.S. Households in 2018.” May.
Borio, C. E., & Lowe, P. W. (2002). Asset prices, financial and monetary stability: exploring the nexus.
CBO: Congressional Budget Office, 2020. “Budget.” https://www.cbo.gov/topics/budget accessed April 2.
Cass, Oren. 2020. “The Cost-of-Thriving Index: Reevaluating the Prosperity of the American Family.” Report, The Manhattan Institute, February; https://media4.manhattan-institute.org/sites/default/files/the-cost-of-thriving-index-OC.pdf accessed April 8, 2020.
Editorial Board. 2020. “The America We Need.” The New York Times, April 9.
Fed Series: Federal Reserve Bank of St. Louis. 2020. FRED economic data bank.
Ferguson, R. W. (2003). Should financial stability be an explicit central bank objective. Challenges to Central Banking from Globalized Financial Systems, 208-223.
Friedman, Gerald. 2014. “Workers without employers: shadow corporations and the rise of the gig economy.” Review of Keynesian Economics 2 (2): 171-188.
Galli, G., Gerotto, L. 2019. “La curva di Laffer e la flat tax”, 12 Agosto. Osservatorio CPI, https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-curva-di-laffer-e-la-flat-tax
Greenspan, Alan. 2007b. The Age of Turbulence: Adventures in a New World. New York: Penguin Press.
Komlos, John, 2019a. Fundamentals of Real-World Economics: What Every Economics Student Needs to Know (2nd edition, Abingdon, UK: Routledge).
Komlos, J., Perri, S. 2019a. “Le vere cause della vittoria di Donald Trump”, 2019 anno 11, n. 17 sem. 1, Economia&Politica, https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/perche-ha- vinto-trump/
Komlos, J., Perri, S. 2019b. Il Reaganismo, la Curva di Laffer e la Flat Tax: alcune considerazioni realistiche. EticaPa. https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2019/10/Breve-_Reaganomics-curva-di-Laffer-e-flat-tax_.pdf
Komlos, J. e Perri, S. 2019c. “Le ragioni sociali ed economiche dell’ascesa di Donald Trump”, Ordines, 2019, Par.3, p. 366. http://www.ordines.it/le-ragioni-sociali-ed-economiche-dellascesa-di-trump-di-john-komlos-e-salvatore-perri/
Long, Heather. 2020. “Fed Chair Powell warns Congress that $1 trillion budget deficits are unsustainable.” The Washington Post February 11.
Perri, Salvatore. 2013. The role of macroeconomic stability in the finance-growth nexus. Threshold regression approach. Studi Economici, FrancoAngeli Editore, vol. 2013(110), pages 57-81.
Rogoff, Kenneth. 2019. “Government Debt Is Not a Free Lunch.” Project Syndicate December 6.
Shiller, Robert. “Online Data.” http://www.econ.yale.edu/~shiller/data.htm accessed April 4, 2020.
Standing, Guy. 2014. “Understanding the Precariat through Labour and Work.” Development and Change 45 (5): 963-980.
Taleb, Nassim. 2009. “Ten Principles for a Black Swan-Proof World.” Financial Times, April 7.
The Tax Policy Center. 2017. Distributional Analysis of the Conference Agreement for the Tax Cuts and Jobs Act.
[1] Ancora l’11 febbraio 2020 Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, ha affermato che “l’economia era in una posizione molto buona” (Long, 2020).
[2] Il taglio delle tasse ai ceti alti come motore della crescita, declinato in termini di tassa piatta, si vedano Komlos e Perri (2019b) e Galli e Gerotto (2019).
[3] https://www.bls.gov/news.release/empsit.nr0.htm
[4] I così detti “lavoratori scoraggiati”.
[5] Dati si veda https://fred.stlouisfed.org/series/LNS12600000, il tasso di crescita dei lavoratori part time ha rallentato dal 2018 in poi, ma in corrispondenza del tasso di crescita dell’occupazione complessiva di cui si è detto in precedenza.
[6] Sull’indice COTI e le sue caratteristiche si veda https://www.manhattan-institute.org/press/cost-of-thriving-index-growing-economic-pressure-families
[7] L’ultimo taglio del 2017 (Tax Cuts and Jobs Act, TCJA, del 22 dicembre) è ammontato a 1,5 Trilioni di dollari.
[8] Dopo alcuni anni in cui era rimasto stabile, l’indice di Gini ha ricominciato a crescere https://www.statista.com/statistics/219643/gini-coefficient-for-us-individuals-families-and-households/
[9] Federal Reserve Bank of St. Louis (2020) https://fred.stlouisfed.org/series/GFDEGDQ188S.
[10] Si veda l’andamento in figura su https://fred.stlouisfed.org/series/FYFSD.
[11] Secondo uno studio della Deutsche Bank (2018), il taglio delle tasse ha provocato l’incremento del deficit dal 3,2 al 3,5% del Pil, innescando la dinamica che lo avrebbe portato comunque entro il 2020 oltre il Trilione di Dollari, anche senza la crisi, https://www.db.com/newsroom_news/2018/deutsche-bank-estimates-the-impacts-of-u-s-tax-reforms-and-updates-on-fourth-quarter-2017-results-en-11453.htm
[12] https://www.cnbc.com/2020/08/27/powell-announces-new-fed-approach-to-inflation-that-could-keep-rates-lower-for-longer.html
[13] Si vedano le argomentazioni di Paul Krugman (2020) https://www.nytimes.com/2020/08/20/opinion/stock-market-unemployment.html
[14] L’instabilità finanziaria è uno degli aspetti che concorre a determinare la instabilità macroeconomica (Perri 2013).
[15] Così come l’espansione del Bilancio della Fed, anche le banche private stanno incrementando costantemente il credito verso i privati, durante l’intera amministrazione Trump, https://fred.stlouisfed.org/series/TCMDO.
[16] In particolare l’indice Dow Jones ha toccato livelli record a febbraio e dopo una caduta li sta’ raggiungendo nuovamente da fine agosto. Si veda https://www.statista.com/statistics/1104278/weekly-performance-of-djia-index/ per l’andamento dell’indice.
lunedì 18 giugno 2018
Mezzogiorno senza reddito e senza cittadinanza
La proposta di istituire in Italia un reddito di cittadinanza, proposto come disegno di legge, dal movimento 5 stelle, e largamente utilizzato nella campagna elettorale, ha l’indubbio merito di aver rilanciato il dibattito sul reddito di base. Purtroppo la struttura della proposta, la confusione metodologica e tecnica da cui scaturisce, unita alle peculiari condizioni strutturali dell’economia del sud in particolare, potrebbe determinarne una sostanziale inefficacia, se l’obiettivo (non dichiarato) fosse quello di ridurre il divario strutturale fra nord e sud.
venerdì 4 dicembre 2015
Produttività a Sud: intervista a Salvatore Perri. Corriere del Mezzogiorno Economia 9 Novembre 2015
Il costo del lavoro nel Sud si può abbassare con sgravi contributivi maggiori rispetto al resto del Paese. Se nel corso del dibattito parlamentare si cambiasse la legge di Stabilità per lasciarli interi solo al Sud come nel 2015?
mercoledì 16 aprile 2014
Sui benefici del Reddito Minimo Garantito in Italia (LIG)
Finanziarizzazione dell'economia e crisi. Il crollo delle prospettive di profitto derivanti dalle attività industriali ha spinto il "capitale" a cercare forme di investimento più remunerative, quali i fondi di investimento internazionali che si muovono con movente essenzialmente speculativo. Pertanto, il lavoro ha perso valore all'interno della società ed i consumi interni si sono compressi trascinando nella crisi anche le piccole e medie imprese che producono su scala locale. Le banche a loro volta hanno spostato i loro orizzonti di investimento verso i titoli di Stato (approfittando degli alti tassi dovuti alla crisi) disinvestendo sull'economia reale.
Dal profitto al reddito per uscire dalla crisi. Appare evidente che le politiche di incentivazioni alle imprese hanno fallito. Se non c'è prospettiva di profitto è impossibile che le imprese si espandano senza una giustificazione di mercato. Le politiche economiche di austerità hanno compresso ulteriormente il reddito disponibile e la finanziarizzazione dell'economia internazionale ha consentito rapide fuoriscite di capitali verso fondi speculativi. Come interrompere questa spirale? Una diversa distribuzione del reddito all'interno delle fasce sociali è l'unica politica economica in grado di determinare, anche nel breve periodo, una ripresa dei consumi.
Disuguaglianze e crisi. La crisi economica, qualunque ne sia l'origine, viene accentuata dalle disuguaglianze di reddito, in quanto più la ricchezza è concentrata in poche mani, meno consumi ci sono all'interno del sistema economico. In un contesto in cui gli investimenti crollano ciò determina un aggravamento della crisi. Distribuire il reddito in maniera meno diseguale consente di portare vantaggi economici nell'immediato, oltre a rappresentare una misura di carattere umanitario che caratterizza il diverso grado di civiltà di una nazione. Un aumento del reddito degli individui indigenti, anche modesto, si riversa inevitabilmente in consumi (spesso primari) riattivando le relazioni sociali di prossimità con le piccole e medie imprese locali.
Redistribuzione e capitalismo. Paradossalmente solo politiche redistributive possono salvare il capitalismo, come l'avvento delle socialdemocrazie all'inizio del 900 in Europa. Pertanto una battaglia per il Reddito Minimo dovrebbe essere combattuta anche dagli imprenditori che invece continuano a chiedere solo riduzioni di imposte (sicuramente troppo elevate) ed incentivazioni di vario genere che si sono già rivelate inefficaci. La redistribuzione del reddito, invece, comporterebbe uno spostamento di valori (economici e non) dal livello subnazionale al livello locale, riconnettendo il tessuto sociale, combattendo l'individualismo e favorendo la solidarietà fra gli esseri umani.
Conclusioni. Per ragioni, che non solo di ordine Economico, appare evidente che forme di diversa distribuzione del reddito sono ormai improcastinabili per interrompere la crisi economica ed arginare il disfacimento della società. Bisogna trasferire risorse verso i redditi individuali, verso una qualche forma di Reddito Minimo che consenta una vita dignitosa alle persone salvando la società dal disfacimento. E' importante che maturi la consapevolezza che questo non rappresenta un investimento umanitario bensì anche un investimento economico-produttivo.
mercoledì 19 marzo 2014
Brevi note metodologiche sulla Spending Review
Premesso che ragionare sulle ipotesi, in Politica Economia, è come fare statistica nel caos, le indiscrezioni sulle proposte elaborate da Cottarelli ed offerte al governo, meritano una qualche discussione che ne aiuti a comprendere la portata.
In primo luogo, è assolutamente certo che una riduzione della tassazione finanziata dal taglio della spesa è comunque recessiva. La ragione risiede nel valore del moltiplicatore della spesa pubblica che è maggiore di quello delle imposte. Di conseguenza avremmo fatto tutto questo per ottenere ulteriori riduzioni del PIL? Non è necessariamente detto.
Gli effetti della Spending Review saranno espansivi, recessivi o neutrali a seconda dei redditi su cui andranno ad incidere. Si parte da un assunto economico di base, la propensione al consumo è decrescente rispetto al reddito, cosa che è alla base di ogni politica redistributiva. Si toglie a chi ha di più non perchè ci piace Robin Hood, per invidia sociale, o per dare sfogo al giacobinismo che è in ognuno di noi, bensì perchè un euro tolto ad un multimilionario andrebbe in risparmi, mentre lo stesso euro donato ad un individuo comune con buona probabilità andrà in consumi. Difatti è stato proprio il crollo dei consumi interni ad aggravare gli effetti della crisi, e non il calo delle esportazioni, come invece viene propagandato.
Pertanto, se i tagli di Cottarelli riusciranno ad incidere sugli stipendi dei managers pubblici, sui doppi e tripli incarichi, sulle indennità, le trasferte fittizie, e qualsivoglia beneficio cumulato da alcuni dipendenti del settore pubblico, l'effetto del combinato disposto di tagli e riduzione di tasse non è detto che sia recessivo.
La discriminante è il "soggetto" non è la categoria.
Questo è bene che se lo ricordino anche i sindacati, perchè se si riesce a ridurre il monte pensioni colpendo quelle piu' alte (sfruttando la progressività delle imposte, che è in costituzione, e non ipotetiche soglie che sappiamo già essere incostituzionali), è inutile che i sindacati scendano sul piede di guerra equiparando i tripli cumuli alla pensione del singolo incolpevole, ben sapendo che i tripli cumuli di alcuni pensionati pubblici sono stati finanziati con contributi pagati sempre dal settore pubblico, quindi dalla collettività.