venerdì 31 luglio 2020

Cambiare l’insegnamento dell’economia per riconnetterla con la realtà

Con   sul Menabò di Etica ed Economia
https://www.eticaeconomia.it/cambiare-linsegnamento-delleconomia-per-riconnetterla-con-la-realta/

Il movimento Black Lives Matter, come gli altri movimenti che chiedono una trasformazione della società, rappresenta solo l’ultima delle richieste di impegno, delle domande di giustizia non ascoltate che tengono insieme problemi etici ed economici di portata enorme. Questa emergenza non coinvolge solo gli Stati Uniti, ma ogni sistema economico in cui siano presenti delle minoranze che subiscono forme esplicite o implicite di discriminazione. Questa emergenza coinvolge gli economisti, il loro ruolo ed il contenuto degli insegnamenti basilari che impartiscono.

Il ruolo degli economisti come consiglieri dei governi e come guida delle trasformazioni economiche ha vissuto alterne fortune, toccando negli ultimi anni probabilmente i punti più bassi, dai conflitti di interessi che hanno ostacolato la comprensione della crisi finanziaria del 2006 nella sua gravità (raccontati in modo esemplare nel film di Charles Ferguson “The Inside Job” del 2010), fino al ruolo degli “Economisti d’Area” che lavorando per conto di partiti politici finiscono per fornire sostegno teorico a proposte economiche prive di riscontri empirici (Komlos e Perri, “Le ragioni sociali ed economiche dell’ascesa di Donald Trump”, Ordines, 2019, Par.3, p. 366).

E per quanto riguarda il ruolo dell’economista nell’insegnamento dell’economia? Il modulo standard d’insegnamento dell’economia a livello internazionale (Econ 101, insegnamento emblematico della contenutistica teorica mainstream) fornisce realmente gli strumenti conoscitivi per una trasformazione della società orientata alla rimozione delle disuguaglianze e delle forme di discriminazione dettate da criteri non-economici? La risposta non può che essere negativa, allo stato, per una serie di considerazioni relative alle ipotesi fondanti dei modelli economici utilizzati a scopo didattico.

Sostanzialmente, i modelli macroeconomici microfondati, si basano su una serie di assunti che sono sempre meno compatibili con le realtà economiche contemporanee. L’individuo microeconomico è razionale, ha pieno accesso gratuito alle informazioni, può migliorare sé stesso attraverso la formazione e può ambire alle più alte vette dell’economia (e della politica), perché la società è un aggregato dei singoli standardizzati, e i mercati concorrenziali gli consentiranno di competere alla pari. Ma tutte queste ipotesi si scontrano con la realtà, laddove l’individuo nasce diverso, perché la struttura della società lo rende diverso, perché appartenente ad una minoranza o perché povero (o spesso entrambi). La sua risalita è più dura, perché l’accesso alla formazione di fatto non è per tutti, e anche qualora riuscisse si scontrerà con mercati del lavoro segmentati e non concorrenziali. I gruppi di pressione economica e politica rendono i sistemi, anche democratici, scarsamente “contendibili”, e le differenze nella distribuzione del reddito tendono ad ampliarsi e cristallizzarsi.

Osservando la situazione statunitense, si nota che il divario tra il reddito medio di un afroamericano e quello di un bianco era di 22 punti percentuali nel 2000, ed è aumentato fino al 27% nel 2017. Anche gli ispanici hanno un reddito considerevolmente inferiore rispetto ad un bianco (17%) mentre il reddito medio di un asiatico è superiore (Komlos, J. “Why African American Economists Should Abandon Mainstream Economic Theory ASAP”, The Review of Black Political Economy, 2019, p. 3).

Nascere dal lato sbagliato della strada può avere delle implicazioni che condizionano pesantemente l’intera vita di un individuo, di un’etnia o di un gruppo discriminato per una moltitudine di motivazioni (religiose, politiche, territoriali). Ma questo aspetto non è colto dalla manualistica standard se non in qualche “oscura nota a margine” (Komlos J., Why African… cit., p. 4).

Se un individuo nasce in povertà, a prescindere da quale sistema di protezione sociale esista in quel sistema economico, subirà forme di razionamento economico che lo limiteranno, se non nell’accesso all’istruzione, quantomeno nella dotazione degli strumenti accessori (dai libri, ai trasporti, ai materiali complementari all’apprendimento). Questa condizione di partenza rende l’individuo diverso, non omologabile, a causa di ragioni che scaturiscono dalla struttura e dall’orientamento della società. Società che è assente dal modulo Econ 101.

Questa prima forma di razionamento, che arriva dal passato, condiziona anche il futuro, perché per raggiungere risultati migliori l’individuo ha bisogno di informazioni, ma le informazioni hanno un costo, contrariamente a quello che viene postulato dalla teoria economica standard. L’impossibilità di ottenere informazioni, che diventano un bene privato, determina l’impossibilità di costruire un percorso diverso rispetto al binario che la società assegna alla nascita. Le informazioni oltre ad essere costose, devono essere decodificate, e contrariamente a quanto viene affermato dai teorici delle “aspettative razionali”, molti individui potrebbero non essere in grado di interpretare correttamente l’informazione, anche quando essa è pubblica, prendendo decisioni autolesioniste (ad esempio nel caso della scarsa riflessione sui potenziali effetti della Brexit, si vedano i lavori citati in: Perri, S. “The risk of hard brexit for United Kingdom”, The Economist’s Voice, 2019).

Sempre in riferimento a come la povertà affligge l’individuo, è possibile che il suo comportamento sia determinato dalle difficoltà a cambiare la propria situazione. La disposizione dell’individuo nei confronti della società cambia a seconda di quanto a lungo egli subisce forme di discriminazione. Questo influisce anche sulla sua capacità di costruire relazioni sociali che possano sopperire alle difficoltà che si trova ad affrontare.

Dall’altro lato della società, gli individui che non sono oggetto di discriminazione sociale accumulano ricchezza, relazioni vantaggiose e potere. Il potere è anch’esso assente dalla manualistica economica standard. Ma non si tratta solo di definire i rapporti di potere sociali esclusivamente in senso statico, quanto piuttosto descrivere le dinamiche che si innescano tra coloro che detengono il potere e coloro che ne subiscono gli effetti. Il caso statunitense ancora una volta è paradigmatico. Dal taglio delle tasse “reaganiano” in poi, la distribuzione del reddito è diventata sempre più diseguale, le lobbies che avevano accumulato ricchezza e potere hanno ulteriormente rafforzato il loro impegno ad accumularli, per nulla scalfiti dalle amministrazioni democratiche di Clinton e Obama (Komlos e Perri, Le ragioni sociali…, cit. p. 377; sul tema della distribuzione del potere rispetto alle competizioni elettorali si veda Ferguson et al. “Industrial Structure and Party Competition in an Age of Hunger Games: Donald Trump and the 2016 Presidential Election”, W.P. INET, 2018).

Di conseguenza, la distribuzione diseguale del reddito, ma ancor di più del potere, condiziona l’evoluzione delle società, in un equilibrio bloccato in cui il “centro” della società non è raggiungibile dalla “periferia”.

L’assetto diseguale e la concentrazione del potere, inteso come ricchezza ma soprattutto come forma di controllo e condizionamento dell’economia, nonché delle scelte di politica economica, ben si concilia con forme di mercato non concorrenziale. È proprio la “concorrenza perfetta” un altro dei fantasmi che aleggiano nella letteratura economica ad uso didattico. La presentazione, quasi iconica, della concorrenza perfetta come paradigma, è anacronistica, rispetto all’evoluzione dell’economia globalizzata che si caratterizza per forme di concorrenza oligopolistica con caratteristiche transnazionali. Nello specifico, la compressione dei costi fattoriali, sta portando le grandi imprese a competere integrandosi verticalmente e orizzontalmente, anche oltre il modello multinazionale/multipolare. Gli oligopolisti competeranno acquisendo competitor e integrandosi trasversalmente con tutti coloro che possono essere funzionali a “chiudere” il mercato (dalle fonti di materie prime al settore finanziario, per giungere al rapporto con i governi).

Il rapporto tra oligopoli e oligarchie è, ad esempio, tipico dell’esperienza russa laddove l’obiettivo diviene quello di accentrare il potere (politico che finisce col coincidere con il controllo delle risorse economiche), rimuovere le forme di controllo delle decisioni, annacquare le forme di controllo democratico che sono esercitabili dalla popolazione. A questa forma di controllo si aggiunge quella ancor più rigida delle fonti di informazione (anch’esse dipendenti dal potere economico), e larghi strati della popolazione a basso reddito finiscono per diventare sudditi del “dittatore benevolo” (si veda a proposito il contributo di Guriev e Treisman, “Informational Autocrats” Journal of Economic Perspectives, 2019).

Tra la manualistica microeconomica, che è la prima affrontata dagli studenti di economia, e la prassi di politica economica, ci sono numerosi stadi intermedi a livello didattico accademico, ma la prima impostazione metodologica disegna percorsi che partono da un’economia in cui c’è un solo individuo monopolista fino a forme più o meno perfette di concorrenza. In realtà, le società contemporanee sperimentano l’opposto, ovvero, la trasformazione di forme concorrenziali in oligopoli con governance sovranazionale, che si contendono i mercati a blocchi. Il livello di concentrazione crescente e la separazione fra sede legale-finanziaria e sede produttiva, rende praticamente irrilevante il ruolo della popolazione residente.

Non è un caso che la crisi legata al Covid-19 venga gestita in modo così difforme nelle diverse aree del pianeta. Tutti gli elementi contraddittori dell’economia contemporanea sono rappresentabili. Il conflitto fra economia e società viene risolto il più delle volte a favore della prima, con una forte pressione affinché la produzione continui a discapito della salute pubblica. Le forme di potere economico prevalenti si affiancano al livello politico maggiormente influenzabile, utilizzando i media, al fine di manipolare l’opinione pubblica. La pandemia diventa più o meno grave, di forma più o meno acuta, con origini più o meno remote, a seconda del messaggio che si vuole veicolare (Stati Uniti e Brasile sono stati i casi più eclatanti ma anche la prima fase in cui in Gran Bretagna Boris Johnson auspicava “l’immunità di gregge”).

Gli effetti dello scollamento fra la realtà e la narrazione politica si riverberano sulla crisi. Secondo J.D. Sacks (“How Inequality Fuels COVID-19 Deaths”, 29/06/2020, Project-Sindacate.org) le disuguaglianze economiche minano la coesione sociale alla radice, impedendo una corretta comunicazione fra la popolazione e la politica. Aggiungiamo che a causa dell’influenza delle corporazioni economiche sulle decisioni politiche, il flusso informativo viene distorto e polarizzato, e che per via della sedimentazione delle differenze economiche nei livelli di istruzione, diventa sempre più difficile per l’opinione pubblica esercitare un controllo consapevole sugli indirizzi di politica economica.

In conclusione, è necessario ridiscutere profondamente i canoni dell’insegnamento economico, con un approccio “umanistico”, che non si basi sulla costruzione di un individuo economico avulso dalla società, standardizzato, che si muove in un ambiente concorrenziale pieno di opportunità in cui è il solo artefice del suo destino. Il sistema economico che emerge da questa struttura ideologica insegue la crescita illimitata delle risorse come soluzione ad ogni problema. Il focus di una nuova strategia di insegnamento non deve essere la crescita competitiva, ma l’efficiente e “giusta” allocazione delle risorse (Komlos, J., Foundations of real-world economics: What every economics student needs to know, Routledge, 2019). Una visione integrata e pluralista dell’economia, che includa l’analisi dei processi storici e sociali, può aiutare una maggiore comprensione del mondo reale. E’ questo l’obiettivo del progetto CORE di insegnamento dell’economia politica promosso, tra gli altri, da Sam Bowles e Wendy Carlin (di cui M. Aprea, G. Scarchilli e G. Palomba si sono occupati sul Menabò). Cambiare i paradigmi servirà a fornire chiavi interpretative diverse per capire un mondo che si è trasformato e che probabilmente non tornerà più quello che era in precedenza.

Scritto da: e

venerdì 3 luglio 2020

European funds and southern Italian regions: a critical view

English Version on Telos-EU:

At this stage of the Covid-19 crisis, there is a purpose on the table (among others) to use ordinary European Funds for emergency, without constraints. This is the opportunity to focalize the attention of public opinion in terms of the resources that Europe gives to Southern Italian regions, in particular, due to the fact that they are unable to spend. This reality is particularly sad if we consider that there is no economic and social convergence between southern regions and the EU average. On the contrary, some aspect of this economic divide was exacerbated during the last crisis. So, the question is why are these regions that need supplementary resources not able to spend the available amount of European funds?

External problems and internal constraints

From the structuring of European funds, community programming is based on two pillars: co-financing and repayment of excess amounts. The reason for these two criteria is obvious. On the one hand, the local government undertakes to participate in investment spending, encouraging them to select those of greater importance for the territory. Second, it tends to empower the decentralized decision-maker who must be subjected to the risk of losing the funds which should push him to spend effectively and quickly.

But what happens if such a model is applied indiscriminately to fragmented and inefficient institutional contexts? At the institutional level (following some reforms), Italy delegated the planning and use of European funds to the Regions and, therefore, decentralized planning and administrative management.

From a financial point of view, the regions must submit to the Internal Stability Pact, and have spending constraints which are progressively more stringent if the region in question has a negative financial balance. For example, the management of the health sector in Calabria, crucial at the time of Covid-19, is managed by a government commissioner precisely for financial distress.

The Central States cannot meet the financial needs of the Regions, as the Budget Balance has been introduced in the Constitution and, in any case, the amount of the budget deficit is under the close and constant attention of the Community bodies due to the constraints of the Stability and Growth Pact. This is even more true if we observe the steady decrease in infrastructure investments made by the Central Government over the past 30 years.

The Southern regions are in turn at the bottom of the European rankings for bureaucratic efficiency and the first for permeability to corruption.

At this point, the Southern Italian regions -- needing to invest to reduce the economic gap with other regions -- tend to commit the available funds to the maximum, the spending commitment relative to the 2014-2020 program, reaching 72% of available resources. But were these resources actually spent? The answer is no, because in the face to attempt to employ them, the other acts necessary to complete their expenditure (which stopped at 18%) did not follow.

First, the regions have failed to co-finance them. As regions with few resources, they have had to use them from time to time for current expenditure rather than committing them for investment.

Second, the times of the regional bureaucracy have proved incompatible with those set by the European Union so much, that attempting to reform the Union has extended the timeframe by a year beyond the end of the intervention to use the funds (from year t + 2 to year t + 3).

The result is that most of the funds destined for the Southern regions, dispersed in a variety of design lines, end up not being spent and go back to being invested by those who manage to have greater design and application efficiency.

Not all areas lagging in development have the same difficulties, and the institutional set-up does not seem to be decisive.

Poland uses and spends proportions of European funds in percentage, and its spending structure is centralized. But also Spain, up to the institutional political crisis resulting from the referendum for the independence of Catalonia, had used these funds more effectively, despite having a decentralized structure similar to the Italian one.

Therefore, the difficulties of using European funds in the Southern Italian regions are due to problems of specific inefficiency and incompatibility between European rules and the specificities of these regions.

What solutions?

It seems that the entire mechanism does not work. The funds that are requested and not spent, go back. In addition, the regions remain at the bottom of all the European rankings, and in the subsequent programs they are again the subjects that must request the funds again in a bulimic production of projects that have no concrete long-term effects.

And if the inability to spend has internal causes, the sanctioning principle of returning the funds has not been a deterrent.

It appears that the regions are unable to manage the process on their own. And political representatives do not take responsibility in fear of losing consensus, which results in their asking the state for more resources. In some cases, they complain about the absence of the EU.

The coronavirus emergency and the need to find resources quickly turns on a beacon of the number of unspent funds. The proposal, in this case, is to remove some constraints present and spend them quickly. The same principle could guide a permanent reform of the use of "unspent" funds. A European body could support the regions and channel unused resources to the same regions by selecting projects that can also be monitored from the outside. Some Southern regions are suffering from a chronic infrastructure delay, and many essential public works are not completed. Furthermore, from technological infrastructures, the gap between Southern Italy and the average EU is vast and constant over time.

The European management of large infrastructure projects should also limit the risks of criminal infiltration. It would be tolerable by local politics, as it would have enough level of complementarity with the interventions implemented with its own funds. Direct management would not require co-financing. And because it already has allocated funds, it would not have the time constraint and repayment obligations.

The European Union could thus return to being concretely visible, even in areas where it has often shone its absence, such as in the migration management phase.

 

REFERENCES

Cerqua and Pellegrini (2018). Are we spending too much to grow? The case of Structural Funds. Journal of Regional Science 2018

Corte dei Conti Europea (2018), Relazione speciale, Bruxelles: n. 17.

European Commission (2020). Cohesion Data. https://cohesiondata.ec.europa.eu/funds/erdf

Rodríguez-Pose, A., & Garcilazo, E. (2015). Quality of government and the returns of investment: Examining the impact of cohesion expenditure in European regions. Regional Studies, 49(8), 1274-1290.

Senate of Republic (2018) Evaluation Document, The Impact of Cohesion Policies in Europe and Italy.