Salvatore
Perri
Il crescente
dissenso dell’opinione pubblica europea nei confronti della politica monetaria
della BCE è essenzialmente dovuto alla percezione (corretta) che la stessa BCE
si preoccupi molto del sistema bancario e finanziario e per nulla dei problemi
dell’economia reale. Tuttavia, quello che non è sufficientemente chiaro all’opinione
pubblica è che un tale comportamento della BCE è dovuto ai vincoli stabiliti da
accordi fra gli stati membri (per gli strumenti utilizzabili) determinati da
vincoli ideologici che legano la politica della BCE alle teorie neoclassiche e
monetariste. Il senso di questo mio contributo è che entrambi i vincoli sono
superabili rendendo la BCE uno strumento che contribuisca a risolvere la crisi,
anziché ad acuirne gli effetti.
Quando ho
detto ad una mia amica che avrei voluto spiegare perché la BCE si comporta in
questo modo lei mi ha risposto: “lo so io, perché sono una massa di str….”. Questo
la dice lunga sull’opinione che attualmente si ha nei confronti di questa
istituzione, ma lo strumento BCE non coincide con le Politiche della BCE, è
come un coltello, si può utilizzare per tagliare il pane o per uccidere. Ma la
colpa non è dello strumento ma è di chi lo usa, male.
La BCE ha,
tra gli altri, il compito di garantire la stabilità monetaria attraverso la
gestione dell’offerta di moneta. Ciò avviene attraverso l’acquisto e la vendita
di titoli (operazioni di mercato aperto) ed attraverso la gestione dei tassi d’interesse.
L’assunto di base è che la BCE deve essere indipendente dagli stati membri e
deve occuparsi solo del controllo della stabilità dei prezzi, oltre al corretto
funzionamento del sistema finanziario. Perché accade questo?
La teoria economica
neoclassica, nelle sue componenti più estremistiche, suggerisce che la politica
fiscale e quella monetaria siano, nel lungo periodo, totalmente inutili nel
loro tentativo di aumentare il reddito e ridurre la disoccupazione. Politiche
fiscali espansive (spesa pubblica) e monetarie espansive (aumento dell’offerta
di moneta) si rivelerebbero nel lungo periodo inflazionistiche, senza alterare
le variabili reali (reddito, occupazione).
Siamo di
fronte alla perfetta applicazione della teoria quantitativa della moneta,
secondo cui ogni aumento della quantità di moneta in circolazione si riflette
proporzionalmente sul livello dei prezzi. Che cosa fa quindi la BCE? Mantiene
stabili i prezzi in Europa agendo sull’offerta di moneta.
Perché non
si occupa di stabilizzare anche i livelli occupazionali ed il reddito? Perché sempre
le teorie neoclassiche suggeriscono che varare politiche monetarie “discrezionali”,
altererebbe la credibilità della BCE che non riuscirebbe più ad ottenere la
stabilità dei prezzi, in quanto l’espansione monetaria sarebbe con essa incompatibile.
Pertanto la
soluzione trovata negli accordi istitutivi è stata la seguente, la BCE si
occupa “solo” dei prezzi, mentre i singoli governi europei devono occuparsi
della politica fiscale e quindi di reddito ed occupazione.
Si arriva a
questo punto per demeriti politici, dell’Italia in primo luogo, poiché all’approssimarsi
delle elezioni, i governi tendono ad espandere la spesa pubblica a fini di consenso,
una storia che noi conosciamo bene, e che ha creato da noi un “trade off” fra inflazione
e debito pubblico.
Detto
questo, la politica monetaria odierna è funzionale all’uscita dalla crisi?
Ovviamente no, e non bisogna essere scienziati per dirlo, anche se la prova a
rovescio è dimostrabile scientificamente. Secondo la teoria quantitativa della
moneta, se aumenta l’offerta di moneta aumenta anche il livello d’inflazione,
ok, ma se si riduce il PIL? A questo punto la BCE dovrebbe ridurre l’offerta di
moneta perché quello precedente non è più compatibile con l’attuale ricchezza
prodotta. Questa manovra sarebbe altamente recessiva e quindi si potrebbe
aumentare l’offerta di moneta per contrastare la recessione e riportare il PIL
al suo livello ante-crisi?
La risposta
all’ultima domanda è si, ma questa sarebbe una politica monetaria anticiclica,
una di quelle strategie vietate dai trattati, che si basano sulle suddette
teorie economiche neoclassiche.
Qual è la
soluzione a questa trappola? Modificare i trattati, introducendo la possibilità
di deroghe in caso di crisi, che consentano alla BCE di acquistare titoli dei
paesi membri, titoli finalizzati a garantire la ripresa economica attraverso
investimenti infrastrutturali, tecnologici e sociali. Non le auto di Batman per
intenderci.
La BCE
potrebbe vigilare, assieme alla Commissione Europea sul “come” si debbano
spendere questi soldi. Ed evitare quindi gli abusi che noi conosciamo.
Questa
politica economica non sarebbe necessariamente inflazionistica, in quanto le
economie Europee sono ben lontane dal “pieno impiego”, sia di lavoratori che
industriale, e sono proprio i neoclassici che ci dicono che l’espansione monetaria
è inflazionistica se si parte da un livello del PIL prossimo a quello di pieno
impiego. Inoltre, l’espansione monetaria attuata dalla BCE sarebbe meno
inflazionistica e meno distorsiva di una qualunque politica attuata da un
singolo stato.
In conclusione,
la BCE non è un totem ma è uno strumento imprescindibile per l’ordinato
funzionamento degli scambi in Europa. Un’altra cosa è criticarne le politiche,
che non sono discrezionali, ma per scelta, questa si sbagliata. La soluzione è
aprire una ridefinizione dei compiti e delle opportunità a disposizione del
banchiere centrale, affinché egli possa intervenire tempestivamente in caso di
episodi recessivi acuti. Il tutto coordinato efficientemente con le politiche
fiscali degli stati membri. Questo sarà possibile quando maturerà nei soci dell’Eurozona
la consapevolezza che i tempi sono ormai maturi per riformare i trattati ed
avvicinare le istituzioni comunitarie alle esigenze dei cittadini europei.
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