Il dibattito aperto dai teorici della Decrescita mi appare assolutamente surreale.
Non perché da spocchioso Economista di provincia non possa accettare che i miei 11 anni di studi post laurea possano valere meno delle intuizioni di Pallante, o che il mio master nel Regno Unito sia stato solo un modo per abituarmi all’umidità, quanto perché molte delle cose teorizzate esistono già o attengono al comune buonsenso.
Partiamo dal PIL, ultimamente aumenta il numero di coloro che ne sono allergici, l’allergia al PIL è incurabile, specie se chi ne parla non ha idea di cosa sia.
Il PIL può essere decomposto in vari modi, almeno 3. Se noi parliamo di produzione e di consumo, tutte le obiezioni dei Decrescenzialisti sono pertinenti, possiamo consumare meno ed essere più felici, possiamo produrre meno ed essere più felici.
Ma se scomponiamo il PIL dal punto di vista distributivo, ovvero come la somma fra Salari (tutto quello che i lavoratori guadagnano) Profitti (tutto ciò che gli imprenditori guadagnano) e Rendite (tutto ciò che i proprietari di mezzi a vario titolo produttivi guadagnano), dimostrare che la riduzione del PIL possa far felice una di queste tre categorie mi pare arduo.
Prendiamo la Rendita, affitti, interessi su soldi prestati etc. Se si riduce spostando somme verso i salari e i profitti, saranno più felici alcuni e meno i renditieri, la rendita non è direttamente produttiva, ma queste si chiamano Politiche Redistributive, esistono da quando esiste l’Economia Politica, non c’era bisogno di una nuova teoria. Per non dire che la lotta alla rendita era già ben presente negli scritti di Carl Marx.
Il dibattito è sul modo di misurare la nostra “felicità”, il PIL non sarebbe adatto, bella osservazione, si scontra con le difficoltà tecniche di trovare misure alternative. Chi si occupa del tema sa che ci sono misure utilizzate a livello locale per stabilire la “vivibilità” delle città ad esempio.
Anni fa lavorai sulla “dotazione infrastrutturale delle province italiane”, in riferimento non solo a strade, aeroporti, acquedotti, ma anche scuole, teatri, impianti sportivi etc. Di cose che fanno felici insomma. Scoperta delle scoperte, le province meridionali in genere, ed a più basso reddito (PIL provinciale), ma soprattutto con una minore dotazione di infrastrutture civili, sono sempre quelle che vengono messe agli ultimi posti delle graduatorie sulla “qualità della vita” che sarebbe la felicità nel senso Pallantiano del termine.
E’ possibile costruire scuole ed infrastrutture civili con i metodi della Decrescita? No.
Altra obiezione sul cavallo di battaglia dei teorici della Decrescita, il risparmio energetico, la Decrescita crea posti di lavoro perché potremmo adeguare le case agli standard energetici. In futuro consumeremo meno ed il PIL diminuirà, giustissimo, ma si chiama logica non decrescita.
Nel frattempo fare un cappotto termico ad una casa degli anni ’70 costa un’ira di Dio e fa aumentare il PIL (anche per coloro che ne sono allergici).
Bisogna trasferire risorse verso queste best practies, si dice “entro il 2040 tutte le case andranno ad emissioni zero”, e via incentivi all’adeguamento e monitoraggio degli interventi, ma si chiama Programmazione Economica, esiste da un po’, e dal 1984 che non viene più fatta in Italia.
Alcuni lo sapevano da prima e sostenevano che andasse fatta, ma venivano tacciati di Stalinismo. E’ stato anche cambiato nome al Ministero preposto, che una volta si chiamava “Bilancio e Programmazione Economica”.
Ultimo tema, non è possibile la crescita infinita, vero, credo nessuno abbia mai sostenuto pubblicamente il contrario. Ma anche questo è un dibattito noto, fra crescita e sviluppo. Siamo cresciuti troppo, dobbiamo smetterla, dovremo smetterla quando tutti saremo “felici” ovvero quando il nostro livello di reddito ci consenta una vita dignitosa nel senso della nostra Costituzione.
Siamo a quel punto? No, se pensiamo a molte regioni Italiane, fottutamente no se pensiamo ai paesi poveri.
Si chiama Crescita Sostenibile o Sviluppo Sostenibile, e si fa anche in presenza di una produzione stagnante. Portare l’acqua in un remoto villaggio Africano fa sviluppo economico, crescita e felicità, anche se per finanziarla bisogna rinunciare a qualche caccia-bombardiere (per fare un esempio di modifica a saldo zero), “dobbiamo spendere in opere di pace quello che spendiamo in opere di guerra” diceva Keynes negli anni ’30.
La crescita economica e lo sviluppo non sono obblighi, ma sono delle conseguenze anche delle politiche suggerite dai teorici della Decrescita, termine che economicamente non vuol dire nulla, se vogliamo essere precisi.
Se poi il discorso è che la produttività non può crescere indefinitamente, e che la produzione non può crescere indefinitamente, d’accordissimo, ma appunto per porre rimedio a questi problemi esistono da anni scuole economiche che propongono (inascoltate) la Redistribuzione del Lavoro ed il Reddito d’Esistenza. Queste cose unite ad un nuovo modo di intendere il rapporto fra uomini e merci (che è la parte interessate del contributo della Decrescita) può contribuire a migliorare il mondo in cui viviamo.
In conclusione, la teoria sulla Decrescita Felice ha un indubbio valore positivo, perché riporta all’attenzione dell’opinione pubblica problemi importanti spesso relegati ai margini del dibattito, fa discutere di Economia anche persone che hanno vissuto intere esistenze delegando le scelte sulle loro vite ad altri. Pone un accento importante sulla tutela dell’ambiente e su uno stile di vita sostenibile per il pianeta.
Altro sono le proposte, bisogna sempre diffidare di chi propone soluzioni semplici a problemi che sono enormemente complessi, è la tecnica dello sciamano-guaritore.
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