Prolifera in rete, e non solo, il dibattito sulla
crisi, sulle sue cause, sulle sue possibili conseguenze, sugli strumenti per
combatterla efficacemente e sulle prospettive future (se ancora ne avremo).
Tra le proposte “impossibili” che ho letto
recentemente, e che mi sembra particolarmente assurda, c’è quella di un ritorno
ad una moneta interna diversa dall’Euro, gestita da una banca nazionale, così
come avveniva fino all’ingresso dell’Euro nelle nostre vite.
In un paese del genere ci siamo già stati, pertanto
non mi resta altro che riproporre “per fatti stilizzati” una delle mie lezioni più
apprezzate, che tenevo (come esercitatore) presso l’Università della Calabria,
allo scopo di spiegare perché l’Italia entrò nell’Euro.
Lascio al lettore stabilire se è praticabile oggi
una fuoriuscita e spiegarne i benefici.
Durante ed a seguito della crisi petrolifera del ’75,
si scatenò un’ondata inflazionistica senza precedenti che portò il tasso d’inflazione
fino al 26% annuo, la causa scatenante non fù interna ma innescò una spirale
prezzi-salari-prezzi che mise in discussione il meccanismo della scala mobile e
di conseguenza le politiche economiche di stampo Keynesiano.
Ma l’effetto più grave fù l’innescarsi di un
meccanismo irreversibile che portò ad una accelerazione della crescita del
debito pubblico.
La ragione è semplice, un investitore acquista titoli
di debito se i tassi di rendimento attesi garantiscono un guadagno al netto del
tasso di inflazione corrente.
Va da sé che negli anni seguenti il Governo (i Governi
che si succedevano a velocità supersonica) avrebbero dovuto ridurre l’emissione
di nuovo debito magari sostituendolo con la tassazione degli ingenti profitti
che le imprese esportatrici realizzavano grazie alla costante svalutazione
della Lira (dovuta anch’essa all’inflazione).
Ciò non avvenne e l’Italia continuò ad emettere
nuovo debito confidando nell’obbligo che aveva la Banca Centrale di acquistare
tutti i Bot invenduti al termine delle aste. Di fatto il Governo gestiva sia la
politica fiscale che quella monetaria. Il sistema politico dell’allora Pentapartito
(i cui eredi diretti oggi ci richiamano alla sobrietà) non ridussero la spesa
pubblica, anzi, moltiplicarono gli enti intermedi, le poltrone, consulenze,
incrementando gli stipendi di tutti i funzionari, e gestendo fondamentalmente
la spesa pubblica a fini di gestione del consenso politico.
Si arriva così al fatidico ’92 anno in cui si
diffonde l’aspettativa concreta di un fallimento dell’Italia per debito
eccessivo (ha raggiunto grazie agli interessi la dimensione del 120% del PIL).
Gli investitori internazionali cominciano a vendere Lire, in un sistema a cambi
fissi (semi-fisso come era lo SME) la Banca Centrale è obbligata ad acquistare
qualsiasi ammontare di Lire cedendo in cambio Titoli, valute estere oppure oro.
Siccome le ricchezze detenute dagli speculatori sono
sempre superiori a quelle di
un singolo stato, la Banca Centrale dopo aver chiesto l’aiuto di Francia e
Germania è costretta a sospendere la convertibilità della Lira. Per alcuni mesi
il cambio è incerto 1 Lira vale something
con danni incalcolabili ai nostri scambi internazionali. La lira perde
il 40% del proprio valore, e l’inflazione che era rientrata in termini
accettabili grazie allo SME (ma sempre attorno al 10%), cominciò a ripartire.
Per tamponare una situazione ormai al collasso Amato
vara la famosa finanziaria da 100.000 Miliardi e la Banca Centrale cessa di essere
obbligata a comprare titoli pubblici (il c.d. divorzio).
Questo al fine di impedire ai partiti di finanziare
il loro consenso ai danni della collettività.
Nel frattempo in Europa, dopo aver “fatto fuori” la
Lira, la speculazione internazionale attaccò Franco e Marco, a quel punto si
decise che c’era un solo modo per fermare la speculazione internazionale sulle
valute, la moneta unica ed il mercato unico. Il resto è contemporaneità.
Riassumendo i possibili effetti (già vissuti) della
moneta sovrana sono:
- svalutazione, in caso di crisi, con vantaggi per pochi esportatori e svantaggi per tutti, per via dell’aumento dei prezzi e della riduzione del potere d’acquisto della moneta, ricordando che l’Italia importa tutte le materie prime ad una svalutazione segue sempre un’ondata inflazionistica (siamo stati al 26%, poi al 10%, adesso siamo al 2%),
- riduzione delle riserve auree per pagare i maggiori costi delle importazioni,
- assenza di controllo del sistema politico, che può sempre espandere la spesa finanziandola con moneta, con le conseguenze in termini di debito pubblico che abbiamo già visto.
In conclusione, un eventuale fallimento dell’Euro ed
il ritorno alle scaramucce tra paesi vicini (guerre commerciali, dumping, dazi)
porterebbe solo ad un impoverimento collettivo che andrebbe ben oltre quello
odierno, con conseguenze incalcolabili. Aggiungo che si riconsegnerebbe il
comando complessivo alla stessa classe politica che ci ha portato sin qui,
siamo sicuri che sia un vantaggio?
Piuttosto che tornare indietro si dovrebbe andare
avanti, con la sovranità del Parlamento Europeo (che oggi vara solo direttive),
il coordinamento di Politiche Fiscali e Monetarie orientate al welfare ed ai
diritti. Grazie all’Euro abbiamo importato solo il tasso d’interesse tedesco
(per un decennio) ma non i sussidi di disoccupazione della Germania, ne il
sistema di protezione sociale Svedese.
Edmund Burke diceva "chi
non conosce la storia è destinato a ripeterla", speriamo che la nostra
storia ci abbia insegnato almeno a non fare gli stessi errori.
Salvatore Perri