L’introduzione nella Costituzione di un vincolo così
rigido per la politica economica potrebbe rivelarsi estremamente dannoso, le
conseguenze di una tale forzatura potrebbero essere a breve destabilizzanti per
un sistema economico fortemente condizionato dal debito come quello Italiano,
generando recessione ed instabilità socio-economica.
La ragione di un tale provvedimento, per altro
manifestamente etero diretto (o etero imposto), corrisponderebbe all’esigenza
di ridurre la possibilità dei futuri governi a guida prettamente politica, di
far ricorso alla spesa pubblica per fini di consenso. Problema certamente
esistente in Italia.
Tuttavia, esiste una fondamentale ed insanabile
discrasia fra ciò che questo provvedimento mira ad ottenere e quelli che
potrebbero essere i reali effetti della dinamica innescata da tale vincolo,
stando alle attuale condizioni Economico-Finanziare del nostro paese.
Questa erronea valutazione attiene fondamentalmente
alle condizioni congiunturali e strutturali dell’economia Italiana, al rapporto
fra Stato ed enti locali ma anche fra Stato e Stato in termini di “timing”
delle politiche economiche, nonché all’introduzione di un conflitto implicito
all’interno della Costituzione stessa.
In primo luogo, l’Italia soffre di una stagnazione
del reddito (mancata crescita) che è molto più lunga di quella registrata negli
altri paesi europei. Ormai si può dire che la stagnazione dell’economia
italiana sia almeno ventennale. Le cause di un tale rallentamento sono note ed
attengono fondamentalmente alla crisi del modello industriale italiano ed alla
sua difficoltà di trasformarsi.
La crisi in Italia è di lungo periodo, cause diverse
da quelle degli altri paesi europei, e necessiterebbe di risposte diverse, risposte
di lungo periodo.
Riconversioni produttive ed investimenti
infrastrutturali di rilievo, necessiterebbero nel breve periodo, della
possibilità di ricorrere al debito. Altre prospettive di rilancio, basate su
una diversa allocazione del reddito disponibile tra le fasce sociali, (Basic
Income) necessiterebbero anch’esse nella fase transitoria di un esposizione
dello stato per cifre superiori alle entrate correnti.
Di conseguenza alcuni strumenti di politica
economica essenziali per il rilancio, smettono semplicemente di essere nella
disponibilità dei decisori, in quanto nessuna di queste può essere classificata
come “catastrofe” e rientrare nella riserva di legge.
Il debito pubblico finirà per avere un peso maggiore,
condizionando, o per meglio dire, paralizzando ogni intervento economico.
Partiamo dal Documento Economico Finanziario appena
varato, le stime governative sono sempre ottimistiche, storicamente,
sottostimano i parametri negativi (inflazione programmata, disoccupazione) e
sovrastimano quelli positivi (minore riduzione del PIL rispetto a tutte le
altre previsioni).
Una sottovalutazione della caduta del PIL avrà
inevitabilmente effetti a catena sulla conduzione della politica economica. Se
la previsione è sbagliata il rapporto debito/PIL aumenta in misura maggiore del
previsto, aumenta l’incidenza degli interessi, ma il saldo deve comunque
rimanere invariato e quindi, ad ogni previsione sbagliata deve corrispondere
una manovra correttiva fatta di tasse o di nuovi tagli.
Entrambe le soluzioni portano ad una ulteriore
caduta del PIL, ad una ulteriore manovra correttiva e via proseguendo, con
effetti recessivi potenzialmente illimitati.
Lo stesso effetto a catena potrebbe essere generato
da variazioni nello spread dei nostri titoli, grandezza che è fuori dal nostro
controllo.
Per queste ragioni un nutrito gruppo di Premi Nobel
(tra cui Solow) hanno di fatto impedito con un appello che Obama introducesse
il pareggio di bilancio nella Costituzione degli Stati Uniti.
Ulteriori problemi nasceranno, in particolare, nel
combinato disposto con le norme già in vigore, specialmente per ciò che
riguarda il Patto di Stabilità interno. Il dissesto di bilancio di un piccolo,
o grande, comune italiano non può più essere sanato dallo stato.
Ma questo anziché generare un circolo virtuoso
genererà ulteriori rigidità di bilancio, con gli amministratori locali chiamati
ad accantonare risorse per le emergenze, verosimilmente, tagliando i servizi e
generando tensioni sociali (anch’esse costose).
La stessa alternanza dei governi creerà instabilità,
una eventuale caduta di un governo, regione o provincia, che sia anticipata
rispetto alle scadenze diventa catastrofe? Non lo è ma potrebbe esserlo se i
saldi di bilancio sono chiusi.
Sul piano costituzionale si rischierà di avere un
conflitto fra norme, l’art. 3 assegna alla Repubblica il compito di rimuovere
gli ostacoli economici e sociali che limitano lo sviluppo delle persone e
l’uguaglianza delle stesse. Cosa accadrebbe nel caso in cui lo stato, per via
del vincolo di bilancio, dovesse intervenire ulteriormente sulla scuola o sulla
sanità intaccando i livelli percepiti come “essenziali” dalla popolazione?
Oltre certi limiti il vincolo di bilancio potrebbe
diventare ostativo delle funzioni che la Costituzione stessa assegna allo Stato.
In conclusione, l’approvazione forzata, quasi senza
discussione da parte dell’opinione pubblica, di un provvedimento dalle
conseguenze potenzialmente devastanti come l’obbligo del pareggio di bilancio,
rappresenta a mio avviso, la peggiore delle scelte politiche che si potevano
compiere da parte del governo tecnico.
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