Salvatore Perri
La condizione
Economico-Finanziaria dell’Italia è particolarmente seria. Migliorarla è
estremamente difficile, per farlo ci sarebbe bisogno di interventi strutturali
consistenti sui comparti reali del sistema economico (investimenti) e
contestualmente di vere “riforme” normative che traccino le linee guida un
percorso di sviluppo realistico per i prossimi decenni. La complessità della
realtà richiede risposte complesse, non in termini formali, ma in termini di
comprensione delle dinamiche che stanno determinando l’arretramento strutturale
del “sistema Italia”. Questo livello di comprensione, ascoltando le priorità
degli ultimi 3 governi, è piuttosto scarso.
Imprese.
La
crisi del settore industriale italiano viene da almeno due decenni. La mancanza
di una politica industriale da parte di governi si è sommata all’inevitabile
perdita di competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali a
seguito della globalizzazione economica. Ad una prima fase di difficoltà delle
grandi imprese del nord-ovest, il mondo imprenditoriale ha reagito mutando la
forma della produzione attraverso ristrutturazioni che permettessero produzioni
innovative e di qualità su scala più piccola. Tuttavia l’avvento di nuovi
competitori sui mercati, caratterizzati da bassi costi di produzione, ha
provocato la crisi anche del “miracolo nord-est”. L’Italia, sostanzialmente, è
un paese post-industriale, laddove il peso dei servizi e del terziario
(sostenuto dalla domanda interna) è destinato ad essere predominante negli anni
avvenire rispetto alla produzione di merci in senso stretto.
Negare questo elemento
contribuisce a far perdere del tempo prezioso aspettando che “rinascano” nuove
imprese come quelle che abbiamo conosciuto. Questo non accadrà.
E’ necessario sostenere
le aziende competitive attraverso il supporto alla riqualificazione ed alla
modernizzazione produttiva, ed attraverso il taglio degli oneri fiscali che
incidono sul costo del prodotto, non attraverso ulteriori tagli al costo del
lavoro (totalmente inutili e dannosi, come si spiegherà in seguito).
Inoltre, anziché insistere
sul rifinanziamento della cassa integrazione di aziende che non possono tornare
alla produzione, è necessario investire su piani di riqualificazione
territoriale che permettano alle imprese di perseguire obiettivi pubblici con
lavoro privato (sicurezza del territorio, adeguamento antisismico, mobilità
sostenibile, bonifiche di discariche, solo per citarne alcuni).
Lavoro.
E’
stata opinione diffusa, ribadita tra l’altro da eminenti studiosi, che la
flessibilità del lavoro avrebbe costruito per l’Italia un paradiso di piena
occupazione. Le imprese aspettavano solo un rilascio normativo degli
inaccettabili vincoli ai licenziamenti o alle assunzioni temporanee. Ho già
scritto di questo assunto e di come sia totalmente falso, ma è interessante
sottolinearne un aspetto diverso. Se le aziende soffrono la crisi, licenziano, delocalizzano,
chiudono per le ragioni sopra elencate, che effetto possono avere incentivi
alle assunzioni o modifiche normative ai contratti? La risposta è elementare: nessun
effetto positivo. Inoltre, come era stato ampliamente previsto, una
flessibilità senza regole, senza continuità contributiva, ha generato ulteriori
problemi contribuendo a comprimere la domanda interna ed aggravare la crisi. Lo
stillicidio di dati sulla disoccupazione e sul crollo dei consumi (anche
alimentari) dovrebbe contribuire a svegliare anche i più addormentati.
Alzare l’età
pensionabile e ridurre le tutele contrattuali per i neo-assunti può comportare
un piccolo beneficio nel breve periodo ed un disastro a medio termine, perché calano
le entrate fiscali e quindi i conti dello stato tornano velocemente a
peggiorare (nei periodi delle ultime “riforme” del mercato del lavoro il debito
pubblico ha continuato la sua inarrestabile ascesa).
Le uniche riforme sensate
riguardano la Redistribuzione del Lavoro nelle aziende produttive e l’introduzione
di una forma di Reddito Minimo per tutti coloro che non potranno essere
ricollocati nel mercato del lavoro (fenomeno che ho già discusso in altri
pezzi).
Stato.
Non
necessariamente un elevato peso del settore pubblico è un male per un sistema
economico (nelle condizioni sopra indicate di quello italiano nello specifico).
Il peso dello stato diventa un problema se non fornisce servizi efficienti, se
è costoso, permeato dalla corruzione e condizionato dalla politica nel senso
deteriore del termine. In questo caso, contrariamente agli altri settori, si
potrebbero ottenere grandi risultati con provvedimenti normativi. Una severa
legge anticorruzione ad esempio potrebbe contribuire ad abbassare i costi delle
opere pubbliche, che sono i veri costi della politica che nessuno riesce ad
abbattere. Una legge che riesca ad impedire le assunzioni clientelari nell’insieme
degli enti pubblici (ospedali e posizioni dirigenziali degli enti pubblici) con
pene esemplari per i trasgressori, contribuirebbe in breve tempo ad aumentare l’efficienza
della pubblica amministrazione, più della visita fiscale per chi ha 37 di
febbre. La corruzione contribuisce ad aumentare il costo delle opera pubbliche e
la gestione della burocrazia, inoltre genera un circolo vizioso che coinvolge
il privato inefficiente selezionando le imprese peggiori per l’adempimento
degli appalti. Aperta la porta alle corruttele è naturale che la criminalità
organizzata ne approfitti entrando di fatto nel meccanismo di gestione degli
enti pubblici.
La politica di gestione
del settore pubblico fatta esclusivamente di tagli, oltre a
disincentivare i settori virtuosi, deprime l’economia. Quando i tagli
colpiscono cultura e beni artistici si contribuisce al depauperamento dell’unico
patrimonio non riproducibile che il paese possiede contribuendo ad accelerare
le dinamiche depressive già in atto (a questo punto anche in termini di
competenze).
Dismettere parti del
patrimonio pubblico, senza aver definito con chiarezza un piano per
valorizzarne la parte restante, potrebbe essere un palliativo utile solo a
respirare per pochi mesi.
Conclusioni.
Le politiche economiche
hanno effetti positivi o negativi su un sistema economico a seconda che riescano
ad incidere su quelli che sono i problemi, analogamente alla risposta che un
organismo umano ha rispetto all’assunzione di un farmaco. Nell’attuale momento
storico e nell’attuale condizione economica italiana sono utili politiche che
incrementino i consumi interni e gli investimenti. Non hanno senso ulteriori
tagli della spesa, è possibile agire nello specifico di riduzioni mirate di
spesa improduttiva a patto che il risparmio sia speso immediatamente e per
intero in un altro settore. Non ha senso prorogare in eterno forme di cassa
integrazione per aziende dismesse, si deve passare ad un sistema di
redistribuzione del lavoro nelle aziende vitali e reddito minimo per i
lavoratori espulsi dal mercato. Non ha senso dismettere il patrimonio pubblico
a meno che il ricavato non venga investito, se il ricavato viene utilizzato per
ridurre il debito le condizioni di solvibilità dell’Italia miglioreranno nel
breve periodo e peggioreranno nel lungo. Bisogna sostenere il tessuto
imprenditoriale attraverso riduzioni di oneri e burocrazia senza interferire
nell’allocazione spaziale delle imprese. Bisogna intervenire con un piano
straordinario di lotta alla corruzione sia nel pubblico che nel rapporto
pubblico-privato. Piccoli interventi di spostamento di capitolati
insignificanti, come quelli che si profilano oggi, non avranno alcun impatto
sull’attuale dinamica economica italiana.