martedì 15 settembre 2020

Un’economia vulnerabile: i risultati economici della prima presidenza Trump

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JEL: A10, E02, E39, G10, H10

La crisi economica legata al Covid-19, come tutti gli eventi negativi di carattere globale, tende ad essere classificata come imprevedibile e sganciata da ogni possibilità di prevenzione. In realtà, anche se l’evento è di per sé impronosticabile, le condizioni dei sistemi economici in termini di vulnerabilità agli shocks dovrebbero essere maggiormente tenuti in considerazione nei periodi così detti “normali”. Nel 21esimo secolo, eventi economici di portata catastrofica come la “bolla informatica”, l’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008, si sono verificati in media ogni 5 anni se consideriamo anche le gravi crisi internazionali a carattere regionale. Pertanto, l’obiettivo di rendere le società moderne più “robuste” in termini di fondamentali economici, e meno vulnerabili agli shocks (Taleb 2009), dovrebbe essere comunque prioritario anche rispetto ai risultati economici di breve termine. La domanda da porsi, per valutare correttamente l’operato dell’amministrazione Trump, è se la sua politica economica prima della crisi pandemica abbia reso l’economia statunitense più forte strutturalmente oppure no.

Donald Trump ha affermato pubblicamente più volte che la sua amministrazione ha raggiunto risultati economici eccezionali, mai ottenuti prima, e tali risultati sarebbero ascrivibili ai provvedimenti di politica economica intrapresi da quando è stato eletto.

Questa opinione, rilanciata anche da altre autorevoli fonti[1], ha fatto breccia nell’opinione pubblica, nazionale ed internazionale, tanto da essere ripresa anche in Italia per corroborare alcune proposte di politica economica allo stato prive di evidenze empiriche favorevoli[2]. Al netto della propaganda elettorale, i dati raccontano un’altra realtà, molto più problematica, che getta pesanti ombre sul futuro economico degli Stati Uniti.

Occupazione, salari e redditi

Il Bureau of Labour Statistics (2020) ha recentemente diffuso un’analisi sul tasso di creazione di posti di lavoro negli ultimi 3 anni dell’amministrazione Obama e nei primi 3 di quella guidata da Donald Trump. Il tasso medio mensile di creazione di posti di lavoro è stato di 224.000 unità negli ultimi 3 anni di Obama e di 182.00 nei primi 3 di Trump, il tutto con tassi di crescita economica simili[3]. Pertanto, lungi dall’essere risultati eccezionali, appaiono conseguenza della crescita iniziata durante il periodo precedente con addirittura un rallentamento della crescita occupazionale, mentre tutti gli altri indicatori del mercato del lavoro hanno un andamento coerente con la dinamica intrapresa nei periodi precedenti.

Sottolineiamo che la disoccupazione ufficiale è al 3,5% ma solo a causa delle metodologie di calcolo. Il tasso di disoccupazione reale dovrebbe considerare come disoccupato almeno un terzo di coloro che lavorano part-time, involontariamente, e anche coloro che sono disoccupati “disponibili” a lavorare indipendentemente da quanto tempo abbiano smesso di cercare lavoro[4]. Se considerassero come disoccupate queste tipologie di persone il tasso di disoccupazione reale stimato nel 2019 sarebbe in realtà del 7,8%, molto lontano dalla piena occupazione (Komlos, 2019a, p. 190). Inoltre, molti dei posti di lavoro creati non forniscono sicurezza e stabilità di reddito ma sono perlopiù lavori precari privi di assicurazione sanitaria e di indennità di disoccupazione (Friedman, 2014; Standing, 2014). In numero dei lavoratori che hanno “abitualmente” solo un’occupazione part time è in costante aumento dagli anni ’70 e durante la presidenza Trump è rimasto stabile ai suoi livelli massimi di sempre[5].

Inoltre, 4,6 milioni di lavoratori part-time non riescono a trovare un lavoro a tempo pieno, non sono stati considerati disoccupati nonostante guadagnino 283 dollari a settimana, solo 14 dollari in più di quanto guadagnavano nel luglio 2002 (ai prezzi del 2019, serie Fed LEU0262881800Q).

Sebbene si possa dire che i salari siano mediamente aumentati, si deve sottolineare che il reddito medio dei lavoratori a tempo pieno è ancora al di sotto del livello del 1979 (serie Fed LES1252881900Q). E per coloro che sono privi di un’istruzione universitaria i salari sono ancora al di sotto in termini reali rispetto ai livelli raggiunti alla fine degli anni ’70.

È anche vero che i redditi medi sono aumentati, ma l’aumento è apparente più che concreto se si considerano i fattori distributivi e quelli legati ai panieri di consumo. Il reddito familiare medio è aumentato solo di 100 dollari all’anno dal 2000 (Fed, serie MEHOINUSA672N) e in molti stati del c.d. Rustbelt, la zona maggiormente colpita dalla deindustrializzazione (Komlos e Perri 2019c), è ancora al di sotto del livello del 2000. La situazione è ancora peggiore se si considerano gli aggiustamenti statistici dell’indice dei prezzi. L’indice COTI[6], che rappresenta l’equivalente dell’indice dei prezzi al consumo, evidenzia una crescita superiore al tasso di crescita dei redditi. Di fatto la classe media sta continuando ad impoverirsi rapidamente perché l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo colpisce in misura proporzionalmente maggiore i redditi medio-bassi (Cass 2020).

Politiche fiscali, disuguaglianze e debito

Il caposaldo della politica fiscale Trumpiana è, nel solco della tradizione Reaganiana, il taglio delle tasse ai segmenti ad alto reddito della popolazione[7]. La ratio è sempre la stessa, il taglio delle tasse ai ricchi produrrebbe diversi effetti benefici per l’economia tra cui il rilancio degli investimenti privati dal lato dell’offerta ed il conseguente aumento dell’occupazione dal lato della domanda. Ma come è stato evidenziato sin da subito da centri studi indipendenti, se gli effetti sulla crescita sono incerti, sicuramente una siffatta strategia agisce ampliando le disuguaglianze in termini di distribuzione del reddito (Tax Policy Center, 2017). Nel 2019, a distanza di due anni dei tagli, la crescita economica è stata del 2,9%, come nel 2015, ma il peso delle tasse si è spostato ulteriormente sulla classe media.

Le famiglie statunitensi appartenenti all’1% più ricco hanno accumulato complessivamente risparmi delle tasse pari a 35 milioni di dollari mentre il 40% degli adulti non ha a disposizione riserve emergenziali di 400 dollari per far fronte ad una spesa imprevista (Board of Governors, 2018, p. 21).

Il livello di disuguaglianza è stato palesemente aggravato dai tagli fiscali del 2017[8] ed è peggiorata anche la percezione della disuguaglianza stessa, in quanto ad ampliarsi non sono solo i divari in termini di reddito reale ma anche quelli in termini di ricchezza. L’aumento delle disuguaglianze può generare crisi sociali dall’impatto economico distruttivo (Greenspan, 2007b, pp. 365, 408).

Se la crescita economica è rimasta invariata rispetto al periodo di Obama anche il debito pubblico ha continuato a correre, all’inizio del 2020, prima della pandemia aveva raggiunto 23,2 trilioni di dollari (Serie Fed, GFDEBTN, GFDEGDQ188S). Ma il contributo netto delle politiche Trumpiane si può osservare in termini di rapporto deficit/Pil che, proprio a seguito dei tagli fiscali del 2017, ha ricominciato a crescere passando dal 102,78% del quarto trimestre del 2017 al 106,68 del quarto trimestre del 2019[9]. All’aumento del debito contribuisce in maniera decisiva l’aumento del Deficit Federale che è cresciuto costantemente durante l’intera presidenza Trump, in questo caso in controtendenza rispetto agli ultimi anni di Obama nei quali si stava riducendo[10] (Federal Reserve Bank of St. Louis 2020). In sostanza si è confermata la tendenza che vede crescere il debito a seguito di tagli delle tasse[11], da Reagan in poi, considerando che il debito federale era il 31% del PIL nel 1981 (Komlos e Perri 2019b).

Non vanno meglio le cose per quanto riguarda il settore privato in quanto sono in aumento le persone che non riescono a risparmiare (Board of Governors 2018), e dalla grande crisi finanziaria del 2008 sappiamo che l’impossibilità di ripagare i debiti è un ulteriore elemento di fragilità sistemica per un’economia, perché può generare un effetto domino in grado di trasmettere la crisi finanziaria al settore reale.

Politica monetaria e mercati azionari

A seguito della crisi finanziaria del 2008 l’intervento della FED è diventato sempre più incisivo. L’espansione del bilancio della banca centrale statunitense, per quanto imponente, appare in linea quello delle altre grandi banche centrali delle economie mature. L’arrivo di una nuova crisi ha reso necessario confermare gli interventi precedenti e proporne di nuovi, analogamente a quello che succede in Europa. Tra l’11 marzo e il 15 aprile 2020 la Fed ha acquistato attività finanziarie per il valore, senza precedenti, di 2 trilioni di dollari. La dichiarazione di Jerome Powell[12] sull’inflazione è solo l’ultimo segnale di un cambiamento epocale delle politiche monetaria, che difficilmente potrà essere revocato in futuro.

Anche i record dei mercati azionari sono stati portati da Trump come il risultato della sua strategia, ma molti analisti hanno parlato di “un’esuberanza irrazionale” (Shiller 2020). L’elevata volatilità degli indici rispetto ai fondamentali non è necessariamente un fenomeno positivo, in particolare se le valutazioni borsistiche deviano dai fondamentali, evidenziando uno sganciamento dai fattori reali dell’economia[13]. La letteratura scientifica ha ipotizzato degli indicatori in grado di misurare l’instabilità finanziaria[14], prendono in considerazione la volatilità degli indici di borsa e l’espansione del credito bancario[15] (Ferguson 2002, Borio e Lowe 2002), entrambi questi indicatori stanno toccando livelli record in questa fase[16].

Conclusioni

Le crisi non sono affatto eventi estemporanei e imprevedibili, ma sono eventi che devono essere considerati nell’implementazione delle strategie di politica economica a lungo termine. Una crisi può avere natura esterna, come quella odierna di carattere globale, oppure può avere origine interna ad uno stato e tramettersi agli altri. In entrambi i casi bisogna ridurre la vulnerabilità dei sistemi economici per ridurne gli impatti potenziali. Donald Trump ha presentato i propri risultati economici come straordinari, evidenziando la riduzione della disoccupazione, la crescita economica e i record macinati in serie dalla borsa. In realtà i dati evidenziano altro, l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali rappresentano un fattore di instabilità dalle conseguenze imprevedibili, i tagli delle tasse vengono di fatto trasferiti sul debito pubblico e l’intero processo di creazione di reddito appare sempre più dipendente dalla politica monetaria. I record della borsa nel periodo peggiore della pandemia non sono un segnale positivo, ma rappresentano la fuga degli investitori verso profitti a breve termine, sganciati dall’economia reale. Le diatribe commerciali intraprese da Trump con gran parte dei partner commerciali possono essere essi stessi fattori in grado, da soli, di scatenare una nuova crisi globale.

Se l’obiettivo di Donald Trump era quello di ottenere una crescita economica superiore al 2% annuo, che il dato che storicamente garantisce la riconferma dei presidenti, possiamo dire che è stato raggiunto. Ma se guardiamo alla robustezza del sistema economico statunitense ed alla sua capacità di resistere in modo coeso ad eventuali shocks, si può affermare che non sarà la prima presidenza Trump ad essere ricordata per questo. L’opinione condivisa è che un deficit endemico di 1 trilione sia insostenibile (Rogoff 2019), il deficit del 2020 supererà i 4 trilioni.

Riferimenti Bibliografici

Board of Governors of the Federal Reserve System. 2019. “Report on the Economic Well-Being of U.S. Households in 2018.” May.

Borio, C. E., & Lowe, P. W. (2002). Asset prices, financial and monetary stability: exploring the nexus.

CBO: Congressional Budget Office, 2020. “Budget.” https://www.cbo.gov/topics/budget accessed April 2.

Cass, Oren. 2020. “The Cost-of-Thriving Index: Reevaluating the Prosperity of the American Family.” Report, The Manhattan Institute, February; https://media4.manhattan-institute.org/sites/default/files/the-cost-of-thriving-index-OC.pdf accessed April 8, 2020.

Editorial Board. 2020. “The America We Need.” The New York Times, April 9.

Fed Series: Federal Reserve Bank of St. Louis. 2020. FRED economic data bank.

Ferguson, R. W. (2003). Should financial stability be an explicit central bank objective. Challenges to Central Banking from Globalized Financial Systems, 208-223.

Friedman, Gerald. 2014. “Workers without employers: shadow corporations and the rise of the gig economy.” Review of Keynesian Economics 2 (2): 171-188.

Galli, G., Gerotto, L. 2019. “La curva di Laffer e la flat tax”, 12 Agosto. Osservatorio CPI, https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-la-curva-di-laffer-e-la-flat-tax

Greenspan, Alan. 2007b. The Age of Turbulence: Adventures in a New World. New York: Penguin Press.

Komlos, John, 2019a. Fundamentals of Real-World Economics: What Every Economics Student Needs to Know (2nd edition, Abingdon, UK: Routledge).

Komlos, J., Perri, S. 2019a. “Le vere cause della vittoria di Donald Trump”, 2019 anno 11, n. 17 sem. 1, Economia&Politica, https://www.economiaepolitica.it/2019-anno-11-n-17-sem-1/perche-ha- vinto-trump/

Komlos, J., Perri, S. 2019b. Il Reaganismo, la Curva di Laffer e la Flat Tax: alcune considerazioni realistiche. EticaPa. https://www.eticapa.it/eticapa/wp-content/uploads/2019/10/Breve-_Reaganomics-curva-di-Laffer-e-flat-tax_.pdf

Komlos, J. e Perri, S. 2019c. “Le ragioni sociali ed economiche dell’ascesa di Donald Trump”, Ordines, 2019, Par.3, p. 366. http://www.ordines.it/le-ragioni-sociali-ed-economiche-dellascesa-di-trump-di-john-komlos-e-salvatore-perri/

Long, Heather. 2020. “Fed Chair Powell warns Congress that $1 trillion budget deficits are unsustainable.” The Washington Post February 11.

Perri, Salvatore. 2013. The role of macroeconomic stability in the finance-growth nexus. Threshold regression approach. Studi Economici, FrancoAngeli Editore, vol. 2013(110), pages 57-81.

Rogoff, Kenneth. 2019. “Government Debt Is Not a Free Lunch.” Project Syndicate December 6.

Shiller, Robert. “Online Data.” http://www.econ.yale.edu/~shiller/data.htm accessed April 4, 2020.

Standing, Guy. 2014. “Understanding the Precariat through Labour and Work.” Development and Change 45 (5): 963-980.

Taleb, Nassim. 2009. “Ten Principles for a Black Swan-Proof World.” Financial Times, April 7.

The Tax Policy Center. 2017. Distributional Analysis of the Conference Agreement for the Tax Cuts and Jobs Act.


[1] Ancora l’11 febbraio 2020 Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, ha affermato che “l’economia era in una posizione molto buona” (Long, 2020).

[2] Il taglio delle tasse ai ceti alti come motore della crescita, declinato in termini di tassa piatta, si vedano Komlos e Perri (2019b) e Galli e Gerotto (2019).

[3] https://www.bls.gov/news.release/empsit.nr0.htm

[4] I così detti “lavoratori scoraggiati”.

[5] Dati si veda https://fred.stlouisfed.org/series/LNS12600000, il tasso di crescita dei lavoratori part time ha rallentato dal 2018 in poi, ma in corrispondenza del tasso di crescita dell’occupazione complessiva di cui si è detto in precedenza.

[6] Sull’indice COTI e le sue caratteristiche si veda https://www.manhattan-institute.org/press/cost-of-thriving-index-growing-economic-pressure-families

[7] L’ultimo taglio del 2017 (Tax Cuts and Jobs Act, TCJA, del 22 dicembre) è ammontato a 1,5 Trilioni di dollari.

[8] Dopo alcuni anni in cui era rimasto stabile, l’indice di Gini ha ricominciato a crescere https://www.statista.com/statistics/219643/gini-coefficient-for-us-individuals-families-and-households/

[9] Federal Reserve Bank of St. Louis (2020) https://fred.stlouisfed.org/series/GFDEGDQ188S.

[10] Si veda l’andamento in figura su https://fred.stlouisfed.org/series/FYFSD.

[11] Secondo uno studio della Deutsche Bank (2018), il taglio delle tasse ha provocato l’incremento del deficit dal 3,2 al 3,5% del Pil, innescando la dinamica che lo avrebbe portato comunque entro il 2020 oltre il Trilione di Dollari, anche senza la crisi, https://www.db.com/newsroom_news/2018/deutsche-bank-estimates-the-impacts-of-u-s-tax-reforms-and-updates-on-fourth-quarter-2017-results-en-11453.htm

[12] https://www.cnbc.com/2020/08/27/powell-announces-new-fed-approach-to-inflation-that-could-keep-rates-lower-for-longer.html

[13] Si vedano le argomentazioni di Paul Krugman (2020) https://www.nytimes.com/2020/08/20/opinion/stock-market-unemployment.html

[14] L’instabilità finanziaria è uno degli aspetti che concorre a determinare la instabilità macroeconomica (Perri 2013).

[15] Così come l’espansione del Bilancio della Fed, anche le banche private stanno incrementando costantemente il credito verso i privati, durante l’intera amministrazione Trump, https://fred.stlouisfed.org/series/TCMDO.

[16] In particolare l’indice Dow Jones ha toccato livelli record a febbraio e dopo una caduta li sta’ raggiungendo nuovamente da fine agosto. Si veda https://www.statista.com/statistics/1104278/weekly-performance-of-djia-index/ per l’andamento dell’indice.

mercoledì 9 settembre 2020

The Sense of the Word “Reforms” in the Italian Labour Market

Today on Regional Studies Association Blog

https://www.regionalstudies.org/news/the-sense-of-the-word-reforms-in-the-italian-labour-market/#

Jel codes: E61, J21, J68, O52

Keywords: Policy Designs and Consistency, Labor Force and Employment, Labour Market Laws, Europe

The situation

Today in Italy, we are experiencing a 10% unemployment rate (about 45% for young people in the southern regions), a relationship debt/GDP close to 136%, an increasing level of poverty and inequalities[1], and a form of stagnation in production (Daniele, 2015). It is very surprising that all these variables have changed in this way during the last 20 years of “reforms” regarding public pension and the labour market, due to aims to relaunch occupation and production. What is wrong with that? These kinds of reforms are not wrong in all cases, but as far as the Italian economy is concerned, they are absolutely wrong and dangerous for the future.

Structure of the Italian labour market and reforms

It was a common opinion, for mainstream economists in particular, that the market of labour was blocked by unions and laws that protect workers and did not include the unemployed. This kind of interpretation of reality pushed the governments to propose “reforms” based on the assumption that unemployment is caused by the difficulties of entrepreneurs to coherently dismiss non-productive workers and replace them with productive workers, in accord with the search-matching economic models (Chad et al. 2017). At the same time, there are a lot of differences between the north and south of Italy. In the former, the unemployment rate is close to the average of the EU. In the latter, there is one of the higher unemployment rate of the EU, and this fact suggests that we have two different economic systems in terms of the equilibrium of production and labour market structure (Perri, 2014). Moreover, there weren’t a lot of opportunities to work in the public sector because new assumptions were blocked by law[2] due to the tragic situation of public debt. According to assumptions of the neoclassical theory, from 2001, there are 46 new forms of “atypical contracts[3]” for the labour market that make the Italian job market one of the most flexible in the world (Franceschi and Mariani, 2015). In consequence of that, we have two types of workers: protected and unprotected. The unprotected workers do not have the same amount of wages or the same rights as protected workers. For instance, they can be dismissed at any moment simply because their contract ends. In addition, past governments have increased the retirement age, and for these two measures, new workers in the last 20 years are, by majority, unprotected.

Private workers and public workers

Flexible contracts are, in the mind of the policy makers, designed for private sectors. But on the contrary, they were used by the public sector to overcome the limits of the possibility of hiring new workers. For the most part, public agencies are employing people with “new” forms of flexible contracts. The private and public sectors are not using this kind of contract to increase stable employment, but rather to reduce costs. There are not many protected workers of the public sector, but it is true that they have too many managers with higher wages in respect to other European countries (a good example is a recent comparison between Italian public broadcasting, RAI, and Britain’s public broadcasting, BBC[4]).

What’s wrong with that

These kinds of reforms are reducing worker’s income and their capacity to spend. Since the crisis arrived, Italy has paid a big price because there aren’t universal forms for workers’ protection that cover “the new fixed term for workers”. This explains why GDP was declining and the aggregate demand was collapsing. Labour “reforms” with flexible contracts could work if the economy was growing and fewer people were unemployed in respect to the firm’s demand. In Italy, the economy is declining and there are too many unemployed people, therefore, we need to create a new strategy.

The pensions bomb

As we have said before, the last 20 years of “reforms” in the labour market is due to increase flexible contracts. From a different point of view, short-term contracts are also generating a new category of workers in terms of expected pensions – a form of “working poor and retired poor” people. Italians are starting to work later than other EU workers, working for less time than others. And in consequence of fixed terms contracts, they are paying fewer pensions contributions[5]. The last two reforms of job markets are doing additional damage for the pensions scheme. By offering incentives to the job market in the south, the state is telling firms to not pay the entire amount of pensions contributions to workers. So the risk is that these kinds of workers will be poor during the working years and poor also after the retirement age because the pension system will pay the pension in respect to the contribution. This fact could be a basis for a social bomb for Italian society.

What aspects of the Italian job market need to be reformed

In Italy, it is actually very difficult to find a job, as public services of employment are totally unfit (just 1% of the unemployed find a job). The private sector finds workers through personal relationships, private agencies, but also politicians play a role in the job market. The public sector usually employs people by direct recommendation of politicians, especially in the south. A few of these kinds of workers are “fake workers”; they made a deal with politicians – “a vote for a job”. There is no transparency in the selection procedure (for managers, too) and there is no control on the job. So it is not unusual to find people out of work placed by authorities (there have been too many investigations to consider this a casual fact[6]). Unions are wrong because they always defend a business as it is, and they are not able to distinguish “real workers” from “fake workers” in the public sector. For this reason, bureaucracy is very inefficient (Gratton et. al. 2017), and some form of sanction is urgently needed. Unemployed people often start to work in the shadow economy, which is also a place for new immigrants. We can use the same argument for an illegal economy that selects the unemployed and immigrants without permission of residence. In these cases, it is unrealistic to suppose that jobs are created legally. We need an investment as well as some form of protection for the unemployed at the time of recruitment. Wage determination should also be taken into consideration. This kind of control in the public sector has to be extended to the “protected workers” recruitment process.

The type of “jobs act” Italy needs

It’s clear, for the aforementioned reasons, that the reality of the job market in Italy is very complex, so we need complex solutions. There are two types of workers: protected and unprotected. We are two types of public workers: productive and unproductive. We have the unemployed who work in the shadow economy and paid workers who stay at home and benefit from the layoffs of bankrupt companies. To solve such a problem with a single law is, in fact, impossible. We need to change the entire structure of the job market. First of all, the procedure of recruitment in the private sector must be made easier. But at the same time, public workers need more control at both the time of recruitment and wage determination (by evaluation). This kind of control in the public sector has to be extended to the “protected workers” that can be moved or fired in the case of serious inefficiency. Also, wages have to be determined by productivity in all cases and not by seniority of service (like what is happening now). To solve the problem of workers in the shadow and illegal economy, we need a basic income that protects workers from being blackmailed by criminals, entrepreneurs and politicians. These kinds of mixed policies have costs in the short term but are definitely beneficial in the long term.

Conclusions

The last 20 years of changes in the labour market rules (reform of Art. 18 of the Workers Act, flexible forms of contracts, and new full-time contract with increasing protections) were not useful to change the rights of “all” workers. We need to understand what the minimum amount of rights for workers are, protected and unprotected. We need selective policies, more protection for workers of the private sector (without economic support of death care industry companies), and support for workers when they need to find another job while they have to earn a basic income. Due to the lack of verifiable results in the public sector, we need rules to evaluate public workers and eventually dismiss the people unfit for this role, also along a generalized reduction of managers’ wages. Transparency in the selection procedure and evaluation of results are the keys to solve the real problem of the inefficiency of public bureaucracy. There are many unprotected workers that need to be protected, but unions can’t defend them without a serious and critical evaluation of the state of public employment. Also, we need an intervention for the pensions contribution for people who have always worked with an atypical contract. This would ensure continuity in the cash flows and, therefore, the dignity of pensions. These kinds of reforms are costly and probably unpopular – aspects that make it difficult to believe in the effective possibility to obtain results soon.

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References

Chade, H., Eeckhout, J., & Smith, L. (2017). Sorting through search and matching models in economics. Journal of Economic Literature, 55(2), 493-544.

Daniele, V. (2015). Una stagnazione secolare? Italia, Giappone, Stati Uniti, 1950-2015 [Towards a secular stagnation? Italy, Japan, United States, 1950-2015] (No. 69997). University Library of Munich, Germany.

Franceschi, F., & Mariani, V. (2015). Flexible labor and innovation in the Italian industrial sector. Industrial and Corporate Change, 25(4), 633-648.

Gratton, G., Guiso, L., Michelacci, C., & Morelli, M. (2017). From Weber to Kafka: Political Instability and the Rise of an Inefficient Bureaucracy (No. 12081). CEPR Discussion Papers.

Perri, S, 2015, “Perchè il sud è meno efficiente”, Lavoce.info, http://www.lavoce.info/archives/37879/perche-il-sud-e-meno-efficiente/

Schneider, F., Raczkowski, K., & Mroz, B. (2015). Shadow economy and tax evasion in the EU. Journal of Money Laundering Control, 18(1), 34-51.

[1]    Source: Eurostat, public database, 2018.

[2]   Cuts in spending due to limit the amount of deficit/GDP ratio provided for in the Maastricht Treaty and subsequent treaties.

[3]    https://www.eurofound.europa.eu/observatories/eurwork/industrial-relations-dictionary/atypical-work

[4] https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/07/rai-perche-deve-cambiare-confronto-con-la-bbc/1017281/

[5] Source: INPS, public database, 2018.

[6] Source: Ministry of Justice, 2018.

 

venerdì 31 luglio 2020

Cambiare l’insegnamento dell’economia per riconnetterla con la realtà

Con   sul Menabò di Etica ed Economia
https://www.eticaeconomia.it/cambiare-linsegnamento-delleconomia-per-riconnetterla-con-la-realta/

Il movimento Black Lives Matter, come gli altri movimenti che chiedono una trasformazione della società, rappresenta solo l’ultima delle richieste di impegno, delle domande di giustizia non ascoltate che tengono insieme problemi etici ed economici di portata enorme. Questa emergenza non coinvolge solo gli Stati Uniti, ma ogni sistema economico in cui siano presenti delle minoranze che subiscono forme esplicite o implicite di discriminazione. Questa emergenza coinvolge gli economisti, il loro ruolo ed il contenuto degli insegnamenti basilari che impartiscono.

Il ruolo degli economisti come consiglieri dei governi e come guida delle trasformazioni economiche ha vissuto alterne fortune, toccando negli ultimi anni probabilmente i punti più bassi, dai conflitti di interessi che hanno ostacolato la comprensione della crisi finanziaria del 2006 nella sua gravità (raccontati in modo esemplare nel film di Charles Ferguson “The Inside Job” del 2010), fino al ruolo degli “Economisti d’Area” che lavorando per conto di partiti politici finiscono per fornire sostegno teorico a proposte economiche prive di riscontri empirici (Komlos e Perri, “Le ragioni sociali ed economiche dell’ascesa di Donald Trump”, Ordines, 2019, Par.3, p. 366).

E per quanto riguarda il ruolo dell’economista nell’insegnamento dell’economia? Il modulo standard d’insegnamento dell’economia a livello internazionale (Econ 101, insegnamento emblematico della contenutistica teorica mainstream) fornisce realmente gli strumenti conoscitivi per una trasformazione della società orientata alla rimozione delle disuguaglianze e delle forme di discriminazione dettate da criteri non-economici? La risposta non può che essere negativa, allo stato, per una serie di considerazioni relative alle ipotesi fondanti dei modelli economici utilizzati a scopo didattico.

Sostanzialmente, i modelli macroeconomici microfondati, si basano su una serie di assunti che sono sempre meno compatibili con le realtà economiche contemporanee. L’individuo microeconomico è razionale, ha pieno accesso gratuito alle informazioni, può migliorare sé stesso attraverso la formazione e può ambire alle più alte vette dell’economia (e della politica), perché la società è un aggregato dei singoli standardizzati, e i mercati concorrenziali gli consentiranno di competere alla pari. Ma tutte queste ipotesi si scontrano con la realtà, laddove l’individuo nasce diverso, perché la struttura della società lo rende diverso, perché appartenente ad una minoranza o perché povero (o spesso entrambi). La sua risalita è più dura, perché l’accesso alla formazione di fatto non è per tutti, e anche qualora riuscisse si scontrerà con mercati del lavoro segmentati e non concorrenziali. I gruppi di pressione economica e politica rendono i sistemi, anche democratici, scarsamente “contendibili”, e le differenze nella distribuzione del reddito tendono ad ampliarsi e cristallizzarsi.

Osservando la situazione statunitense, si nota che il divario tra il reddito medio di un afroamericano e quello di un bianco era di 22 punti percentuali nel 2000, ed è aumentato fino al 27% nel 2017. Anche gli ispanici hanno un reddito considerevolmente inferiore rispetto ad un bianco (17%) mentre il reddito medio di un asiatico è superiore (Komlos, J. “Why African American Economists Should Abandon Mainstream Economic Theory ASAP”, The Review of Black Political Economy, 2019, p. 3).

Nascere dal lato sbagliato della strada può avere delle implicazioni che condizionano pesantemente l’intera vita di un individuo, di un’etnia o di un gruppo discriminato per una moltitudine di motivazioni (religiose, politiche, territoriali). Ma questo aspetto non è colto dalla manualistica standard se non in qualche “oscura nota a margine” (Komlos J., Why African… cit., p. 4).

Se un individuo nasce in povertà, a prescindere da quale sistema di protezione sociale esista in quel sistema economico, subirà forme di razionamento economico che lo limiteranno, se non nell’accesso all’istruzione, quantomeno nella dotazione degli strumenti accessori (dai libri, ai trasporti, ai materiali complementari all’apprendimento). Questa condizione di partenza rende l’individuo diverso, non omologabile, a causa di ragioni che scaturiscono dalla struttura e dall’orientamento della società. Società che è assente dal modulo Econ 101.

Questa prima forma di razionamento, che arriva dal passato, condiziona anche il futuro, perché per raggiungere risultati migliori l’individuo ha bisogno di informazioni, ma le informazioni hanno un costo, contrariamente a quello che viene postulato dalla teoria economica standard. L’impossibilità di ottenere informazioni, che diventano un bene privato, determina l’impossibilità di costruire un percorso diverso rispetto al binario che la società assegna alla nascita. Le informazioni oltre ad essere costose, devono essere decodificate, e contrariamente a quanto viene affermato dai teorici delle “aspettative razionali”, molti individui potrebbero non essere in grado di interpretare correttamente l’informazione, anche quando essa è pubblica, prendendo decisioni autolesioniste (ad esempio nel caso della scarsa riflessione sui potenziali effetti della Brexit, si vedano i lavori citati in: Perri, S. “The risk of hard brexit for United Kingdom”, The Economist’s Voice, 2019).

Sempre in riferimento a come la povertà affligge l’individuo, è possibile che il suo comportamento sia determinato dalle difficoltà a cambiare la propria situazione. La disposizione dell’individuo nei confronti della società cambia a seconda di quanto a lungo egli subisce forme di discriminazione. Questo influisce anche sulla sua capacità di costruire relazioni sociali che possano sopperire alle difficoltà che si trova ad affrontare.

Dall’altro lato della società, gli individui che non sono oggetto di discriminazione sociale accumulano ricchezza, relazioni vantaggiose e potere. Il potere è anch’esso assente dalla manualistica economica standard. Ma non si tratta solo di definire i rapporti di potere sociali esclusivamente in senso statico, quanto piuttosto descrivere le dinamiche che si innescano tra coloro che detengono il potere e coloro che ne subiscono gli effetti. Il caso statunitense ancora una volta è paradigmatico. Dal taglio delle tasse “reaganiano” in poi, la distribuzione del reddito è diventata sempre più diseguale, le lobbies che avevano accumulato ricchezza e potere hanno ulteriormente rafforzato il loro impegno ad accumularli, per nulla scalfiti dalle amministrazioni democratiche di Clinton e Obama (Komlos e Perri, Le ragioni sociali…, cit. p. 377; sul tema della distribuzione del potere rispetto alle competizioni elettorali si veda Ferguson et al. “Industrial Structure and Party Competition in an Age of Hunger Games: Donald Trump and the 2016 Presidential Election”, W.P. INET, 2018).

Di conseguenza, la distribuzione diseguale del reddito, ma ancor di più del potere, condiziona l’evoluzione delle società, in un equilibrio bloccato in cui il “centro” della società non è raggiungibile dalla “periferia”.

L’assetto diseguale e la concentrazione del potere, inteso come ricchezza ma soprattutto come forma di controllo e condizionamento dell’economia, nonché delle scelte di politica economica, ben si concilia con forme di mercato non concorrenziale. È proprio la “concorrenza perfetta” un altro dei fantasmi che aleggiano nella letteratura economica ad uso didattico. La presentazione, quasi iconica, della concorrenza perfetta come paradigma, è anacronistica, rispetto all’evoluzione dell’economia globalizzata che si caratterizza per forme di concorrenza oligopolistica con caratteristiche transnazionali. Nello specifico, la compressione dei costi fattoriali, sta portando le grandi imprese a competere integrandosi verticalmente e orizzontalmente, anche oltre il modello multinazionale/multipolare. Gli oligopolisti competeranno acquisendo competitor e integrandosi trasversalmente con tutti coloro che possono essere funzionali a “chiudere” il mercato (dalle fonti di materie prime al settore finanziario, per giungere al rapporto con i governi).

Il rapporto tra oligopoli e oligarchie è, ad esempio, tipico dell’esperienza russa laddove l’obiettivo diviene quello di accentrare il potere (politico che finisce col coincidere con il controllo delle risorse economiche), rimuovere le forme di controllo delle decisioni, annacquare le forme di controllo democratico che sono esercitabili dalla popolazione. A questa forma di controllo si aggiunge quella ancor più rigida delle fonti di informazione (anch’esse dipendenti dal potere economico), e larghi strati della popolazione a basso reddito finiscono per diventare sudditi del “dittatore benevolo” (si veda a proposito il contributo di Guriev e Treisman, “Informational Autocrats” Journal of Economic Perspectives, 2019).

Tra la manualistica microeconomica, che è la prima affrontata dagli studenti di economia, e la prassi di politica economica, ci sono numerosi stadi intermedi a livello didattico accademico, ma la prima impostazione metodologica disegna percorsi che partono da un’economia in cui c’è un solo individuo monopolista fino a forme più o meno perfette di concorrenza. In realtà, le società contemporanee sperimentano l’opposto, ovvero, la trasformazione di forme concorrenziali in oligopoli con governance sovranazionale, che si contendono i mercati a blocchi. Il livello di concentrazione crescente e la separazione fra sede legale-finanziaria e sede produttiva, rende praticamente irrilevante il ruolo della popolazione residente.

Non è un caso che la crisi legata al Covid-19 venga gestita in modo così difforme nelle diverse aree del pianeta. Tutti gli elementi contraddittori dell’economia contemporanea sono rappresentabili. Il conflitto fra economia e società viene risolto il più delle volte a favore della prima, con una forte pressione affinché la produzione continui a discapito della salute pubblica. Le forme di potere economico prevalenti si affiancano al livello politico maggiormente influenzabile, utilizzando i media, al fine di manipolare l’opinione pubblica. La pandemia diventa più o meno grave, di forma più o meno acuta, con origini più o meno remote, a seconda del messaggio che si vuole veicolare (Stati Uniti e Brasile sono stati i casi più eclatanti ma anche la prima fase in cui in Gran Bretagna Boris Johnson auspicava “l’immunità di gregge”).

Gli effetti dello scollamento fra la realtà e la narrazione politica si riverberano sulla crisi. Secondo J.D. Sacks (“How Inequality Fuels COVID-19 Deaths”, 29/06/2020, Project-Sindacate.org) le disuguaglianze economiche minano la coesione sociale alla radice, impedendo una corretta comunicazione fra la popolazione e la politica. Aggiungiamo che a causa dell’influenza delle corporazioni economiche sulle decisioni politiche, il flusso informativo viene distorto e polarizzato, e che per via della sedimentazione delle differenze economiche nei livelli di istruzione, diventa sempre più difficile per l’opinione pubblica esercitare un controllo consapevole sugli indirizzi di politica economica.

In conclusione, è necessario ridiscutere profondamente i canoni dell’insegnamento economico, con un approccio “umanistico”, che non si basi sulla costruzione di un individuo economico avulso dalla società, standardizzato, che si muove in un ambiente concorrenziale pieno di opportunità in cui è il solo artefice del suo destino. Il sistema economico che emerge da questa struttura ideologica insegue la crescita illimitata delle risorse come soluzione ad ogni problema. Il focus di una nuova strategia di insegnamento non deve essere la crescita competitiva, ma l’efficiente e “giusta” allocazione delle risorse (Komlos, J., Foundations of real-world economics: What every economics student needs to know, Routledge, 2019). Una visione integrata e pluralista dell’economia, che includa l’analisi dei processi storici e sociali, può aiutare una maggiore comprensione del mondo reale. E’ questo l’obiettivo del progetto CORE di insegnamento dell’economia politica promosso, tra gli altri, da Sam Bowles e Wendy Carlin (di cui M. Aprea, G. Scarchilli e G. Palomba si sono occupati sul Menabò). Cambiare i paradigmi servirà a fornire chiavi interpretative diverse per capire un mondo che si è trasformato e che probabilmente non tornerà più quello che era in precedenza.

Scritto da: e

venerdì 3 luglio 2020

European funds and southern Italian regions: a critical view

English Version on Telos-EU:

At this stage of the Covid-19 crisis, there is a purpose on the table (among others) to use ordinary European Funds for emergency, without constraints. This is the opportunity to focalize the attention of public opinion in terms of the resources that Europe gives to Southern Italian regions, in particular, due to the fact that they are unable to spend. This reality is particularly sad if we consider that there is no economic and social convergence between southern regions and the EU average. On the contrary, some aspect of this economic divide was exacerbated during the last crisis. So, the question is why are these regions that need supplementary resources not able to spend the available amount of European funds?

External problems and internal constraints

From the structuring of European funds, community programming is based on two pillars: co-financing and repayment of excess amounts. The reason for these two criteria is obvious. On the one hand, the local government undertakes to participate in investment spending, encouraging them to select those of greater importance for the territory. Second, it tends to empower the decentralized decision-maker who must be subjected to the risk of losing the funds which should push him to spend effectively and quickly.

But what happens if such a model is applied indiscriminately to fragmented and inefficient institutional contexts? At the institutional level (following some reforms), Italy delegated the planning and use of European funds to the Regions and, therefore, decentralized planning and administrative management.

From a financial point of view, the regions must submit to the Internal Stability Pact, and have spending constraints which are progressively more stringent if the region in question has a negative financial balance. For example, the management of the health sector in Calabria, crucial at the time of Covid-19, is managed by a government commissioner precisely for financial distress.

The Central States cannot meet the financial needs of the Regions, as the Budget Balance has been introduced in the Constitution and, in any case, the amount of the budget deficit is under the close and constant attention of the Community bodies due to the constraints of the Stability and Growth Pact. This is even more true if we observe the steady decrease in infrastructure investments made by the Central Government over the past 30 years.

The Southern regions are in turn at the bottom of the European rankings for bureaucratic efficiency and the first for permeability to corruption.

At this point, the Southern Italian regions -- needing to invest to reduce the economic gap with other regions -- tend to commit the available funds to the maximum, the spending commitment relative to the 2014-2020 program, reaching 72% of available resources. But were these resources actually spent? The answer is no, because in the face to attempt to employ them, the other acts necessary to complete their expenditure (which stopped at 18%) did not follow.

First, the regions have failed to co-finance them. As regions with few resources, they have had to use them from time to time for current expenditure rather than committing them for investment.

Second, the times of the regional bureaucracy have proved incompatible with those set by the European Union so much, that attempting to reform the Union has extended the timeframe by a year beyond the end of the intervention to use the funds (from year t + 2 to year t + 3).

The result is that most of the funds destined for the Southern regions, dispersed in a variety of design lines, end up not being spent and go back to being invested by those who manage to have greater design and application efficiency.

Not all areas lagging in development have the same difficulties, and the institutional set-up does not seem to be decisive.

Poland uses and spends proportions of European funds in percentage, and its spending structure is centralized. But also Spain, up to the institutional political crisis resulting from the referendum for the independence of Catalonia, had used these funds more effectively, despite having a decentralized structure similar to the Italian one.

Therefore, the difficulties of using European funds in the Southern Italian regions are due to problems of specific inefficiency and incompatibility between European rules and the specificities of these regions.

What solutions?

It seems that the entire mechanism does not work. The funds that are requested and not spent, go back. In addition, the regions remain at the bottom of all the European rankings, and in the subsequent programs they are again the subjects that must request the funds again in a bulimic production of projects that have no concrete long-term effects.

And if the inability to spend has internal causes, the sanctioning principle of returning the funds has not been a deterrent.

It appears that the regions are unable to manage the process on their own. And political representatives do not take responsibility in fear of losing consensus, which results in their asking the state for more resources. In some cases, they complain about the absence of the EU.

The coronavirus emergency and the need to find resources quickly turns on a beacon of the number of unspent funds. The proposal, in this case, is to remove some constraints present and spend them quickly. The same principle could guide a permanent reform of the use of "unspent" funds. A European body could support the regions and channel unused resources to the same regions by selecting projects that can also be monitored from the outside. Some Southern regions are suffering from a chronic infrastructure delay, and many essential public works are not completed. Furthermore, from technological infrastructures, the gap between Southern Italy and the average EU is vast and constant over time.

The European management of large infrastructure projects should also limit the risks of criminal infiltration. It would be tolerable by local politics, as it would have enough level of complementarity with the interventions implemented with its own funds. Direct management would not require co-financing. And because it already has allocated funds, it would not have the time constraint and repayment obligations.

The European Union could thus return to being concretely visible, even in areas where it has often shone its absence, such as in the migration management phase.

 

REFERENCES

Cerqua and Pellegrini (2018). Are we spending too much to grow? The case of Structural Funds. Journal of Regional Science 2018

Corte dei Conti Europea (2018), Relazione speciale, Bruxelles: n. 17.

European Commission (2020). Cohesion Data. https://cohesiondata.ec.europa.eu/funds/erdf

Rodríguez-Pose, A., & Garcilazo, E. (2015). Quality of government and the returns of investment: Examining the impact of cohesion expenditure in European regions. Regional Studies, 49(8), 1274-1290.

Senate of Republic (2018) Evaluation Document, The Impact of Cohesion Policies in Europe and Italy.

sabato 30 maggio 2020

Les fonds européens et les régions du sud de l’Italie: un point de vue critique

Il mezzogiorno ha bisogno di risorse, quelle europee arrivano ma non vengono spese per la gran parte. Questo a causa sia dei limiti nei regolamenti europei che per i problemi interni all'organizzazione degli enti locali. Una mia proposta di riforma su Telos-eu, in Francese.
The southern Italy needs resources, the European ones arrive but are not spent for the most part. This is because of both the limitations in European regulations and the internal problems of the organization of local authorities. My proposal for reform on Telos-eu, in French.

https://www.telos-eu.com/fr/les-fonds-europeens-et-les-regions-du-sud-de-lital.html


À ce stade de la crise du Covid-19, il est question (entre autres) d’utiliser les fonds européens ordinaires pour les urgences, sans contraintes. C’est l’occasion d’attirer l’attention de l’opinion publique sur les ressources que l’Europe donne aux régions du sud de l’Italie, en particulier, du fait qu’elles ne sont pas en mesure de dépenser. Cette réalité est particulièrement triste si l’on considère qu’il n’y a pas de convergence économique et sociale entre les régions du sud et la moyenne de l’UE. Au contraire, certains aspects de cette fracture économique ont été exacerbés lors de la dernière crise. La question est donc de savoir pourquoi ces régions qui ont besoin de ressources supplémentaires ne sont pas en mesure de dépenser le montant disponible des fonds européens.

Problèmes externes et contraintes internes

À partir de la structuration des fonds européens, la programmation communautaire repose sur deux piliers : le cofinancement et le remboursement des excédents. La raison de ces deux critères est évidente. D’une part, le gouvernement local s’engage à participer aux dépenses d’investissement, en les encourageant à sélectionner celles qui sont les plus importantes pour le territoire. D’autre part, cela tend à responsabiliser le décideur décentralisé qui doit être soumis au risque de perdre les fonds qui devraient le pousser à dépenser efficacement et rapidement.
Mais que se passe-t-il si un tel modèle est appliqué sans discernement à des contextes institutionnels fragmentés et inefficaces ? Au niveau institutionnel (suite à certaines réformes), l’Italie a délégué la planification et l’utilisation des fonds européens aux régions et, par conséquent, la planification et la gestion administrative sont décentralisées.
D’un point de vue financier, les régions doivent se soumettre au pacte de stabilité interne, et ont des contraintes de dépenses qui sont progressivement plus strictes si la région en question a un solde financier négatif. Par exemple, la gestion du secteur de la santé en Calabre, cruciale à l’époque du Covid-19, est gérée par un commissaire du gouvernement précisément pour des raisons de détresse financière.
Les États centraux ne peuvent pas répondre aux besoins financiers des régions, car l’équilibre budgétaire a été introduit dans la Constitution et, en tout état de cause, le montant du déficit budgétaire est soumis à l’attention étroite et constante des organes communautaires en raison des contraintes du pacte de stabilité et de croissance. Cela est d’autant plus vrai si l’on observe la diminution constante des investissements en infrastructures réalisés par le gouvernement central au cours des 30 dernières années.
Les régions du Sud sont à leur tour en bas du classement européen pour l’efficacité bureaucratique et elles arrivent premières pour la perméabilité à la corruption.
À ce stade, les régions du sud de l’Italie – qui doivent investir pour réduire l’écart économique avec les autres regions – ont tendance à engager les fonds disponibles au maximum, l’engagement de dépenses, par rapport au programme 2014-2020, atteignant 72% des ressources disponibles. Mais ces ressources ont-elles réellement été dépensées ? La réponse est non, car face à la tentative de les employer, les autres actes nécessaires pour compléter leur dépense (qui s’est arrêtée à 18%) n’ont pas suivi.
Tout d’abord, les régions n’ont pas réussi à les cofinancer. Disposant de peu de ressources, elles ont parfois dû les utiliser pour les dépenses courantes plutôt que de les engager pour des investissements.
Deuxièmement, les temps de la bureaucratie régionale se sont révélés incompatibles avec ceux fixés par l’Union européenne, à tel point que la tentative de réforme de l’Union a prolongé d’un an le délai d’utilisation des fonds au-delà de la fin de l’intervention (de l’année t + 2 à l’année t + 3).
Le résultat est que la plupart des fonds destinés aux régions du Sud, dispersés dans diverses lignes budgétaires, finissent par ne pas être dépensés et reviennent à l’expéditeur pour être investis par ceux qui parviennent à avoir une plus grande efficacité de conception et d’application.
Toutes les régions en retard de développement n’ont pas les mêmes difficultés, et le cadre institutionnel ne semble pas être décisif.
La Pologne utilise et dépense une partie des fonds européens en pourcentage, et sa structure de dépenses est centralisée. Mais l’Espagne aussi, jusqu’à la crise politique institutionnelle résultant du référendum pour l’indépendance de la Catalogne, avait utilisé ces fonds de manière plus efficace, malgré une structure décentralisée similaire à celle de l’Italie.
Par conséquent, les difficultés d’utilisation des fonds européens dans les régions du sud de l’Italie sont dues à des problèmes d’inefficacité spécifique et d’incompatibilité entre les règles européennes et les spécificités de ces régions.

Quelles solutions ?

Il semble que c’est le mécanisme tout entire qui ne fonctionne pas. Les fonds qui sont demandés et non dépensés, ils sont renvoyés à l’UE. En outre, les régions restent en bas de tous les classements européens et, dans les programmes suivants, elles sont à nouveau les sujets qui doivent demander les fonds dans une production boulimique de projets qui n’ont pas d’effets concrets à long terme.
Et si l’incapacité à dépenser a des causes internes, le principe de sanction consistant à restituer les fonds n’a pas été dissuasif.
Il semble que les régions ne soient pas en mesure de gérer le processus par elles-mêmes. Et les représentants politiques ne prennent pas leurs responsabilités, par peur de perdre le consensus, ce qui les amène à demander à l’État davantage de ressources. Dans certains cas, ils se plaignent de l’absence de l’UE.
L’urgence du coronavirus et la nécessité de trouver rapidement des ressources se traduisent par un nombre considérable de fonds non dépensés. La proposition, dans ce cas, est de supprimer certaines contraintes présentes et de les dépenser rapidement. Le même principe pourrait guider une réforme permanente de l’utilisation des fonds “non dépensés”. Un organisme européen pourrait soutenir les régions et canaliser les ressources non utilisées vers ces mêmes régions en sélectionnant des projets qui peuvent également être contrôlés de l’extérieur. Certaines régions du Sud souffrent d’un retard chronique en matière d’infrastructures, et de nombreux travaux publics essentiels ne sont pas achevés. En outre, en ce qui concerne les infrastructures technologiques, l’écart entre le sud de l’Italie et l’UE moyenne est vaste et constant dans le temps.
Une gestion européenne des grands projets d’infrastructure devrait également limiter les risques d’infiltration criminelle. Elle serait tolérable par les responsables politiques locaux, car elle présenterait un niveau suffisant de complémentarité avec les interventions mises en œuvre avec ses propres fonds. La gestion directe ne nécessiterait pas de cofinancement. Et comme les fonds ont déjà été alloués, la question ne se poserait plus des contraintes de temps et des obligations de remboursement.
L’Union européenne pourrait ainsi redevenir concrètement visible, même dans des domaines où elle a souvent brillé par son absence, comme dans la gestion des migrations.
Références
Cerqua and Pellegrini (2018). Are we spending too much to grow? The case of Structural Funds. Journal of Regional Science
Cour des comptes européenne (2018), Relazione speciale, Bruxelles: n. 17.
European Commission (2020). Cohesion Data. https://cohesiondata.ec.europa.eu/funds/erdf
Rodríguez-Pose, A., & Garcilazo, E. (2015). Quality of government and the returns of investment: Examining the impact of cohesion expenditure in European regions. Regional Studies, 49(8), 1274-1290.
Senate of Republic (2018) Evaluation Document, The Impact of Cohesion Policies in Europe and Italy.

martedì 31 marzo 2020

L’Italia e l’Unione Europea alla prova del Coronavirus

Oggi su Economia&Politica


La pandemia causata dal Covid-19, oltre alle perdite umane, provocherà un tracollo economico difficilmente quantificabile in valore ed in durata. Il declino produttivo, il pesante debito pubblico, le disuguaglianze economiche, rendono l’Italia sempre più dipendente dalle scelte che saranno compiute in sede europea. Gli interventi per salvare l’Italia, e l’Europa, dovranno avere necessariamente due caratteristiche: dovranno mobilitare risorse a lungo termine per gli investimenti e dovranno essere sostenibili politicamente anche per i paesi del nord Europa alle prese con pulsioni sovraniste. Non può essere più rinviata la questione di una figura Europea politicamente forte, con poteri e budget, in grado di concordare con la BCE interventi in una prospettiva decennale di reale integrazione sistemica.

Il Coronavirus e l’Economia Italiana

L’Italia affronta la crisi del coronavirus da una posizione di estrema debolezza. Il sistema produttivo non aveva ancora recuperato dagli effetti negativi della crisi finanziaria globale del 2007, il debito pubblico ha continuato la sua corsa, la produttività è stagnante e non ci sono segnali di convergenza interna dal punto di vista territoriale, e inoltre, si stanno consolidando differenze stratificate anche all’interno del mondo del lavoro con la crescita dei c.d. working poors[1] (Dell’Arringa, 2019). La contrazione economica ed il blocco della produzione di molte merci potrebbe accentuare anche dinamiche negative ben note, dalle delocalizzazioni industriali alle esterovestizioni societarie[2], perché è inevitabile che le aziende tentino di ridurre le perdite con ogni mezzo consentito. In questo contesto le questioni relative al debito pubblico, ed al suo collegamento con il settore bancario privato, rendono la “questione italiana” esplosiva per l’intera Unione.

Gli strumenti possibili e la loro efficacia

Allo stato attuale, data la gravità della situazione e la prospettiva che l’epidemia del Covid-19 possa cogliere tutti i paesi europei, sono state prese decisioni importanti. Se si esclude l’infelice uscita iniziale della Lagarde[3], la BCE ha messo in campo strumenti e risorse impronosticabili fino a due mesi fa. Il nuovo programma PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program), prosecuzione del Quantitative Easing, utilizzerà 750 Mld e durerà almeno fino fine dell’anno. In questa fase la BCE utilizzerà questo strumento con maggiore flessibilità: non dovrà rispettare il limite del 33% per i titoli di stato, potrà acquistare titoli della Grecia, e soprattutto, acquisterà anche titoli a breve termine, cosa che ha di fatto congelato la fiammata dello spread italiano dimezzandolo in un solo giorno.
Inoltre sono stati rinnovati i programmi di rifinanziamento a lungo termine nei confronti delle banche private (TLTRO) che dovrebbero garantire liquidità sufficiente agli istituti di credito per il rilancio dell’attività economica post-pandemia.
Sul piano politico la situazione invece è in stallo, all’interno del Consiglio si ripropone l’ormai storica spaccatura fra paesi “rigoristi” e quelli maggiormente vulnerabili economicamente. L’applicazione dei vincoli contenuti nel Patto di Stabilità e Crescita è stata sospesa, mentre sul tavolo, finora senza accordo, c’è la proposta di un’emissione di debito comune, il “CoronaBond”, da utilizzare per reperire risorse a basso costo sui mercati finanziari nella fase emergenziale.
Queste risposte, ammesso che vengano implementate tutte ed insieme, sono sufficienti nel perseguire gli obiettivi di rilancio post crisi in una prospettiva di lungo periodo? La risposta non sembra essere positiva.
Gli interventi di rifinanziamento bancario, in fase di recessione, non si sono rivelati in passato efficaci nel rilanciare l’economia italiana. Le basse aspettative sui profitti hanno finito per convogliare i flussi finanziari, destinati a cittadini ed imprese, verso i titoli del debito pubblico a maggior rendimento, creando una circolazione finanziaria che non ha avuto ricadute di carattere reale[4].
Ne dovrebbe entusiasmare troppo la rimozione temporanea dei vincoli di spesa pubblica implicita nella sospensione del PSC, vincoli sospesi temporaneamente, questo vuol dire che l’aumento del deficit si concretizzerà in un aumento del debito, e data la caduta prevista del PIL, in un’impennata del rapporto debito/PIL che sarà strutturalmente ad un livello più alto. Il nuovo programma di acquisti PEPP dovrebbe garantire la sostenibilità del Debito in termini di interessi passivi sui mercati, ma anche questi sono programmi che hanno una loro scadenza.
Stesso ragionamento è applicabile ai “CoronaBonds” che vincolati ad un unico utilizzo emergenziale finirebbero per essere di natura transitoria. L’Italia quindi, in uno scenario post-pandemia potrebbe ritrovarsi in piena recessione ed un debito pubblico fuori controllo, perché allo stato attuale nessuna delle decisioni assunte da BCE e Consiglio è di carattere permanente.

Il problema politico e gli interventi necessari

Il Consiglio Europeo rappresenta i governi e la spaccatura all’interno di esso rappresenta il vero problema politico. Il freno posto da Olanda e Germania ad ogni forma di mutualizzazione del debito o di centralizzazione dei bilanci, è basato sul fatto che si tratterebbe di trasferire risorse che poi ogni stato potrebbe spendere in modo arbitrario, visto che non esiste nessun coordinamento di politica fiscale fra gli stati. Né tantomeno esiste una figura politica di coordinamento in grado di concertare azioni con la BCE, visto che l’Unione non ha risorse proprie da investire in politiche fiscali espansive[5].
La mutualizzazione del debito è stata da sempre osteggiata in quanto vista dai paesi “virtuosi” come un trasferimento permanente verso i paesi ad alto debito incapaci di contenere ed efficientare la spesa pubblica[6]. Mentre un maggiore trasferimento di risorse dagli stati verso l’Unione è osteggiato quasi unanimemente, ed è stato uno degli argomenti forti nella campagna elettorale sulla Brexit (Perri, 2019b), e dei partiti sovranisti in generale (Perri, 2019a).
Esistono, tuttavia, delle proposte diverse e concrete per rilanciare l’Unione come progetto sociale ed economico. Una soluzione efficace sarebbe quella di proporre un’emissione di Eurobond che siano finalizzati, non alla singola emergenza, bensì a garantire un adeguato livello di investimenti in tutti gli stati membri, dato che è stato proprio il crollo degli investimenti pubblici a provocare il declino, non solo italiano (Della Posta, Marelli e Signorelli, 2019; Realfonzo, 2019).
Queste emissioni potrebbero essere garantite attraverso la Banca Europea degli Investimenti (BEI)[7] come suggerito da Paolo Cardenà, piuttosto che dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il ricorso al MES, sia nella versione in vigore sia nella proposta di riforma che viene discussa attualmente[8], prevede che il paese richiedente affronti l’ormai consolidato percorso di riforme neoclassiche fatte di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, e rafforzamento dei requisiti patrimoniali delle banche. Tutte manovre che si sono già rivelate nel tempo ampliamente recessive per i paesi che vi hanno fatto ricorso (Portogallo, Cipro, Grecia, Spagna e Irlanda). Ricorrere al MES seppur privato delle condizionalità relative[9], rappresenterebbe comunque un pessimo segnale verso i mercati, in quanto la sua funzione era destinata all’intervento emergenziale in caso di crisi finanziaria di uno stato o per la ricapitalizzazione indiretta del settore bancario. Di conseguenza si parla di uno strumento di carattere eccezionale, collegarlo alla garanzia su titoli di debito comune segnalerebbe ai mercati che siano forme di finanziamento necessarie ad un solo stato e non a tutti, con un potenziale effetto di divaricazione dei tassi di interesse sui titoli emessi dai singoli stati.
Altri strumenti sono stati proposti, come ad esempio l’utilizzo di crediti non rimborsabili, da parte della BCE ai singoli stati (Daniele, 2020), oppure l’utilizzo di certificati di credito fiscale utilizzabili all’interno dei singoli paesi[10].
L’insieme delle proposte, tuttavia, finisce per scontrarsi con un problema di fondo, l’utilizzo di uno strumento piuttosto che di un altro non può essere fatto in modo discrezionale, stando alle regole dei trattati[11].
Se si conviene a livello europeo che l’eccezionalità della crisi necessiti di risposte adeguate, è urgente che venga nominata una figura politica che sia in grado di coordinare gli interventi e soprattutto di poter dialogare con la BCE al fine far pervenire le risorse aggiuntive all’economia reale. Un ministro delle finanze Europeo che possa rilanciare un processo di convergenza reale delle strutture economiche interne agli stati.
Il passaggio politico è fondamentale, in quanto, se si richiedesse ai soli paesi del Nord Europa di venir meno ai loro principi si potrebbe determinare in tutti questi paesi il rafforzamento di movimenti sovranisti ed euroscettici.
L’attuale assetto dell’Unione finisce per rappresentare una politica spaccata ed un solo organismo Europeo, la BCE, che tuttavia non può prendere decisioni discrezionali dal punto di vista politico. Ed è proprio in questo senso che potrebbero essere interpretate le ultime dichiarazioni di Mario Draghi[12].
*Senior Economist, PhD in “Applied Economics” University of Calabria (Italy), MSc in “Economics” University of Southampton (UK)
Riferimenti Bibliografici
Daniele, V. (2020). Coronavirus Economia: L’emergenza rende necessarie politiche eccezionali. EconomiaePolitica. 2020 anno 12 n. 19 sem. 1.
De Grauwe, P. (2016). Economia dell’Unione Monetaria. Decima Edizione. Il Mulino, Bologna.
Dell’Aringa, C. (2019). Produttività, occupazione, salari, povertà. Il caso Italia. Economia & lavoro, 53(1), 17-22.
Della Posta, P., Marelli, E., & Signorelli, M. (2019). An immediate solution for the euro area crisis: A Grand European Investment Plan. In Yearning for Inclusive Growth and Development, Good Jobs and Sustainability (pp. 113-135). Springer, Cham.
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Realfonzo, R.   100 miliardi di sottoinvestimento pubblico e deficit di competitività. L’Italia ha bisogno di politiche industriali. EconomiaePolitica. 2019 anno 11 n. 18 sem. 2

[1] Si veda anche Reitano et. al 2018 https://osservatoriocoesionesociale.eu/wp-content/uploads/2019/07/SCP-working-poor-2019-DEF.pdf
[2] Per i profili giuridici si veda Valente e Cardone (2015). Esterovestizione. IPSOA.
[3] Da sottolineare che la BCE si era già attivata con interventi sul debito, ma il tenore dell’annuncio che lasciava presagire una chiusura, ha avuto un effetto negativo speculare a quello ottenuto in positivo da Draghi con la sua dichiarazione “whatever it takes” del 2012, alla quale non seguì nessun provvedimento. Le OMT non entrarono di fatto in vigore, ma il semplice annuncio tranquillizzò i mercati finanziari (Si veda P. De Grauwe, 2016).
[4] In particolare i primi interventi della BCE consistevano nel concedere prestiti agevolati al settore finanziario, ho discusso questa dinamica nel 2013 in un articolo pubblicato sul mio blog personale e ripreso da altre testate https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/2860-salvatore-perri-i-tassi-dinteresse-e-la-confusione-che-regna-sovrana.html
[5] Il Bilancio dell’Unione vale poco più dell’1% del PIL Europeo, mentre gli stati membri utilizzano tra il 40 ed il 60% del PIL in spesa pubblica.
[6] L’esperienza dei fondi comunitari non spesi dall’Italia non testimonia certamente il contrario.
[7] Anche in una forma congiunta con FEI e FEIS come suggerito da Quadro Curzio https://www.huffingtonpost.it/entry/bei-fei-e-feis-la-troika-che-puo-rilanciare-lue_it_5e80b6fac5b6256a7a2c693e?ncid=other_facebook_eucluwzme5k&utm_campaign=share_facebook&fbclid=IwAR3KlfA71CJ02lveAS_c8kACTDcZ9YU0gQtdQ_PC7L660mGvFaka54ZEQQg
[8] Un gruppo di importanti economisti ha firmato un appello affinché l’Italia non firmi la proposta di riforma, in quanto aumenterebbero i rischi per l’Italia di dover ristrutturare il proprio debito per farvi ricorso http://temi.repubblica.it/micromega-online/appello-di-32-economisti-no-all-esm-se-non-cambia-la-logica-europea/.
[9] Si Veda E. Marelli “Se non ora quando”, Giornale di Brescia, 25.3.2020. Sulle recenti modifiche del MES e il relativo dibattito si veda A. Villafranca dell’ISPI https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mes-cose-e-come-funziona-25385?fbclid=IwAR2K6NCMF6_yNIASgBd8wlsxqhqXwEDwFlcnm9LJzCbRf7TOmGdfWU6YqIw
[10] Si veda il recente articolo del Gruppo della Moneta Fiscale, http://www.elzeviro.eu/affari-di-palazzo/economia-e-finanza/per-uscire-dalla-crisi-coronavirus-bisogna-stampare-una-nuova-moneta-fiscale.html?fbclid=IwAR0LYaWb_-JVxOMTJGWr8-datJzCzRrL-OcgUsWJInqF3uK80enMbQPN6SQ
[11] Ricordiamo che anche il meccanismo del Quantitative Easing è stato strutturato attraverso acquisti di titoli in proporzione alla quota di partecipazione delle singole banche centrali al capitale della BCE. Questa strategia ha permesso di varare lo strumento in quanto applicabile a tutti e non in modo selettivo (eccetto la Grecia i cui titoli non avevano un rating compatibile con i profili di rischio accettabili dalla BCE), P. De Grauwe (2016).
[12] https://www.huffingtonpost.it/entry/mario-draghi-sul-financial-times-siamo-in-guerra-contro-il-coronavirus-mobilitazione-comune_it_5e7bc650c5b6cb9dc1998af9

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