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di Salvatore Perri
Nel proseguo del dibattito su una qualsiasi forma di reddito di base
da introdurre in Italia aumentano i contributi ma si moltiplica anche la
confusione, pertanto è utile continuare a ragionare sui fraintendimenti
piu' comuni, sia che arrivino dal mondo istituzionale sia che vengano
da ambienti accademici e giornalistici.
Quale forma di reddito di base? Su questo punto c'è molta confusione.
Il punto fondamentale è distribuire diversamente il reddito dalla
fiscalità generale, non redistribuire (quindi togliere a qualcuno per
dare a qualcun altro). La questione non è semantica, nel bilancio dello
stato ci sono mille rivoli, inclusi gli sgravi fiscali, gli
ammortizzatori sociali (spesso in deroga) e trasferimenti piu' o meno
giustificabili, si tratterebbe di prevedere il reddito di base o il
reddito minimo venga scorporato "prima" di arrivare alle voci
successive. Le varie forme di reddito di base vanno da quello universale
rivolto a tutti (Basic Income) fino a forme di reddito minimo garantito
(RMG) che tendono ad "integrare" altri redditi fino al raggiungimento
della soglia di povertà relativa. E' chiaro che quello che si potrà fare
dipenderà, anche, dalla situazione dei conti pubblici italiani.
Lavoro e reddito? Non torno negli stessi termini su questioni già affrontate,
ma è evidente che, da qualunque punto di vista la si consideri, nelle
società moderne e postmoderne non ci sarà lavoro per tutti, anche per
via del progresso tecnologico e della globalizzazione economica, ma
soprattutto perché è esistita da sempre una quota di "disoccupazione
ineliminabile". Le ragioni sono contemplate in qualunque manuale
macroeconomico. Alcuni disoccupati non sono compatibili con le attuali
qualifiche richieste nel mondo del lavoro, e non parlo di metalmeccanici
che dovrebbero imparare un particolare software, ma dell'analfabetismo
di rientro che ormai colpisce un buon numero di giovani adulti che
abbandonano la scuola o conseguono diplomi "una tantum" dallo scarso
valore culturale. Altri disoccupati sono incompatibili territorialmente
con i lavori offerti oppure fanno lavori che sono esclusivamente
stagionali (agricoltura, turismo etc.). Inoltre esiste sempre un periodo
di "vacanza" tra la vecchia e la nuova occupazione per chi perde un
lavoro. Va da se che ogni economista degno di questo nome si sia
cimentato a studiare il c.d. Tasso Naturale di disoccupazione, che è
quello che si osserva durante i periodi di pieno impiego (vero o
ipotetico). Questo valore varia nel tempo, ma esiste sempre, dal 6% al
7% al 12% (i piu' radicali sono i teorici del c.d. Real Business Cycle),
è comunque una quantità enorme. Di questi disoccupati cosa si fa? Si
assume che siano antropologicamente inferiori perché non hanno trovato
lavoro? Oppure si creano miriadi di corsi di formazione inutili e
costosi che non hanno creato un solo posto di lavoro? Offrire una forma
di reddito a queste persone le rende nuovamente "produttive" seppur in
modo indiretto, in quanto sarebbero in grado di "giustificare" una parte
delle merci prodotte dal sistema economico (il che combatte la caduta
della produzione), potrebbero dedicarsi alla cura di se stessi, anche
perseguendo percorsi culturali, artistici, potrebbero dedicarsi alla
cura delle persone vicine o potrebbero dedicarsi a forme di volontariato
sociale, ma allo stesso tempo condurrebbero una vita dignitosa ed
indipendente.
Lavoro o reddito? L'alternativa "lavorista" è quella che vuole
necessariamente che chi riceve un reddito vada a fare un lavoro deciso
centralisticamente, spesso inutile, ma che comunque (non si capisce bene
secondo chi) darebbe maggiore dignità al reddito. Partendo dal
presupposto che tali "lavori" andrebbero "organizzati" dando fiato ai
peggiori istinti della burocrazia italiana, l'esperienza degli LSU ed
LPU ha chiarito che in Italia queste cose non funzionano, perché
burocrazia e politica si inseriscono nelle varie fasi di questo percorso
rendendo questi lavori piu' virtuali del reddito di base. In piu'
queste forme di lavoro sussudiato sono "selettive" ma spesso senza
criterio, per cui sono proprio idonee a fomentare forme distorsive e
clientelari che con il reddito di base ci si propone di combattere.
Pago adesso o pago dopo? Altra questione è che una forma di reddito
di base è vista come "improduttiva" come premio all'ozio oppure
addirittura come disincentivo al lavoro. A parte che i primi esperimenti
condotti da Guy Standings in villaggi africani ed indiani dicono il
contrario, e cioè che chi riceve il reddito lavora di piu', siamo sicuri
che una tal misura deprimerebbe la produzione? In primo luogo non
stiamo parlando di redditi enormi, le varie proposte vanno da 600 euro
mensili a 720, di conseguenza il soggetto ricevente che ambisce a
qualcosa di piu' continuerebbe a cercare lavoro per integrare. Ma
supponiamo che il ricevente consideri sufficiente il reddito di base e
non cerchi lavoro. Sicuramente il soggetto consumerebbe gran parte se
non tutto il reddito ricevuto (il consumo è decrescente rispetto al
reddito, una delle poche realtà incontrovertibili della teoria
economica). Pertanto egli "rimetterebbe in circolo" quanto ricevuto in
via istantanea, rianimando l'economia circostante. Ricordiamo che Italia
e Grecia, che non avevano un reddito di base, sono gli stati che fanno
piu' fatica ad uscire dalla crisi. Inoltre, avere o non avere reddito,
influisce sulla qualità della vita di questi soggetti, stress e cattiva
alimentazione possono contribuire all'insorgere di patologie, che
scaricherebbero comunque sullo stato, a costi maggiori, visto che la
sanità in Italia è pubblica. Tra gli altri effetti indiretti ci sarebbe
quello di garantire un minimo di coesione sociale anche nei piccoli
centri che continuano a spopolarsi, appunto per l'assenza di opportunità
di lavoro.
Libertà e legalità. La disoccupazione è un bacino elettorale
storicamente irrinunciabile, un reddito di base libererebbe molti
elettori dal vincolo di cercare il referente politico (o sindacale) di
turno. Inoltre collegando il reddito di base al godimento dei diritti
civili e politici si darebbe un forte disincentivo alla criminalità, in
quanto tra il vivere legalmente e non, il discriminante molto spesso è
proprio il reddito. Altro fattore dirimente è lo sfruttamento del lavoro
nero, chi possiede il reddito chiederebbe lavori tutelati dalla legge,
non essendo piu' sottomesso allo sfruttamento di quella minoranza di
imprenditori sconosciuti al fisco. Questo riequilibrerebbe anche i
rapporti fra le imprese, in quanto quelle che fanno concorrenza sleale a
basso costo sarebbero svantaggiate nel trovare manodopera.
Ci sono le risorse? Il dibattito sull'adeguamento delle pensioni
all'inflazione e la recente sentenza della Consulta, chiarisce questo
punto in maniera definitiva. Il blocco all'adeguamento delle pensioni
per quelle superiori a 1400 euro mensili valeva 16 Miliardi, piu' o meno
quanto servirebbe per una forma intermedia di reddito minimo. Pur
supponendo che il governo debba restituire una parte di questi soldi,
appare chiaro che rimodulando proprio le pensioni piu' alte (sfruttando
il principio costituzionale della "progressività delle imposte"), e
mettendo ordine nella giungla degli attuali ammortizzatori in deroga
(spesso elargite verso aziende che mai hanno prodotto nulla, e che oggi
vedono i lavoratori percepire la cassa integrazione in deroga e magari
lavorando in nero) le risorse potrebbero essere reperite, senza che
questo determini necessariamente lo sforamento dei vincoli di bilancio.
In conclusione, una forma di reddito di base, oltre ad essere un
segno di civiltà: è produttivo economicamente, è conveniente
finanziariamente, favorisce la lotta alla criminalità organizzata ed al
lavoro nero, combatte la corruzione, favorisce la "ricostruzione" del
tessuto sociale attraverso la spinta all'inclusione di soggetti ad oggi
emarginati.
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